domenica 6 luglio 2025

"Babel" di R. F. Kuang: una versione fantasy del mondo accademico

TRAMA
Nella Canton degli anni Trenta dell’Ottocento Robin, un ragazzo cinese, sopravvive miracolosamente al colera grazie a una misteriosa tavoletta d’argento usata dal professor Richard Lovell, che lo salva e lo porta con sé a Londra. Qui Robin viene educato con estrema severità allo studio lingue classiche e del cinese mandarino, per essere ammesso all’Istituto Reale di Traduzione di Oxford, detto Babel.
A Oxford, l’antico sapere sulla traduzione si usa come forma di magia: su tavolette d’argento vengono incise parole “equivalenti”, ma non identiche in due lingue, creando effetti soprannaturali. Questa tecnologia linguistica, nota come “magia dell'argento”, consente di potenziare fucili, guarire, aumentare la produzione agricola e sostenere l’impero britannico.
Robin trova amici nei compagni Ramy (Indiano), Victoire (haitiana) e Letty (britannica). Tutto gli appare perfetto fino a quando inizia a capire che il sapere linguistico di Babel serve per alimentare il colonialismo e l’oppressione, non per il bene universale.
Si troverà dunque diviso tra il desiderio di mantenere i propri privilegi e l'incapacità di restare a guardare le peggiori ingiustizie sociali, un contrasto interiore che porterà tragici sviluppi.


RECENSIONE

Le parole possono uccidere.
È un'affermazione potente, e nel mondo immaginato da R.F. Kuang in Babel, assume un significato letterale, tragico e ineluttabile. Questo corposo romanzo fantasy, che si presenta come un’opera di finzione, è in realtà una lente acuminata sulla realtà del mondo accademico: affascinante, crudele, sofisticato e cannibale.
Robin, il protagonista, è incantato dall’università di Oxford – nello specifico, dal prestigioso Istituto di Traduzione Babel – che ama e odia con pari intensità. L’accademia è per lui un paradiso dorato e insieme una prigione raffinata: un sistema che promette elevazione e illuminazione, ma che può distruggere senza pietà chi non si conforma alle sue logiche.

"Odiava quel luogo. Lo amava. Non gli piaceva come lo trattava. Eppure voleva farne parte, perché era così bello poter parlare con i professori sentendosi al loro stesso livello intellettuale, partecipare a qualcosa di grande."

Lì dentro, anche il più brillante degli studenti è solo un ingranaggio facilmente rimpiazzabile. Eppure, uscirne è altrettanto devastante: dopo aver assaporato tutto ciò che l’accademia offre, la vita al di fuori appare grigia e respingente.

"Si interrogò sulla contraddizione che stava vivendo: li disprezzava, sapeva che le loro azioni erano tutt'altro che lodevoli, eppure desiderava che lo rispettassero quel tanto da accoglierlo tra le loro fila."

Questo senso di smarrimento e di sospensione – che molti riconosceranno come tristemente vicino alla condizione del precariato accademico contemporaneo – attraversa tutto il romanzo. Robin si sente sempre “altro”: è straniero, è diverso, ma è utile finché serve. Attraverso i suoi occhi, Kuang dà voce al disagio e all’umiliazione che oggi vivono tanti ricercatori e studiosi: coloro che hanno sacrificato tutto per un sistema che spesso non li protegge, non li premia, e non li riconosce.

Ma Babel non si ferma qui. È anche e soprattutto una denuncia feroce del colonialismo culturale e linguistico. La lingua, la traduzione, il sapere diventano strumenti di potere, di sottomissione, di sfruttamento. Le minoranze vengono assimilate, saccheggiate, fagocitate da una cultura dominante che si veste di nobili ideali ma agisce per puro tornaconto. È un libro tragico, cupo, senza scampo. Un romanzo che brucia più che brillare – e proprio per questo non si riesce a smettere di leggere.
La prosa è raffinata e coinvolgente, capace di trascinare il lettore nel complesso universo interiore di Robin. Alcune sezioni risultano forse troppo dense, appesantite da lunghe disquisizioni filologiche e storiche, ma non mancano momenti di grande intensità emotiva. Se nei passaggi tecnici il romanzo può apparire pedante - per chi non è appassionato di certe tematiche- nella descrizione delle dinamiche umane e politiche rivela tutta la sua potenza.

Cosa lascia la lettura di Babel? Innanzitutto, una sensazione di inquietudine e coinvolgimento morale. Questo non è un libro che si limita a intrattenere – anche se, certamente, riesce a farlo con intelligenza.
È un’opera che interpella, sfida, costringe a prendere posizione. Un dark academia nel senso più pieno del termine: prolisso, forbito, via via sempre più oscuro, che mescola elementi del dramma ottocentesco con riflessioni attualissime su identità, potere, violenza e cultura.
Non è una lettura semplice. Ma, forse, una lettura necessaria.

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