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venerdì 12 maggio 2023

"Il popolo dell'autunno" di Ray Bradbury: confronto tra un romanzo indimenticabile ed un film dimenticato


"Per alcuni, l'autunno viene presto, e permane per tutta la vita, quando ottobre segue settembre, e novembre tocca ottobre, e poi, invece di dicembre e del natale, non c'è la stella di Betlemme, non c'è letizia, ma ritorna settembre e il vecchio ottobre, e così via, per tutti gli anni, senza inverno, senza primavera, senza estate vivificatrice. Per questi esseri, l'autunno è la stagione normale, l'unica stagione, e non c'è per loro altra scelta. Da dove vengono? Dalla polvere. Dove vanno? Verso la tomba. È sangue che scorre nelle loro vene? No: è il vento della notte. Che cosa pulsa nella loro testa? Il verme. Che cosa parla attraverso le loro bocche? Il rospo. Che cosa guarda attraverso i loro occhi? Il serpente. Che cosa ode attraverso le loro orecchie? L'abisso tra le stelle. Scatenano il temporale umano per le anime, divorano la carne della ragione, riempiono le tombe di peccatori. Si agitano freneticamente. Corrono come scarafaggi, strisciano, tessono, filtrano, si agitano, fanno oscurare tutte le lune, e rannuvolano le acque chiare. La ragnatela li ode, trema.. si spezza. Questo è il popolo dell'autunno. Guardatevi da loro.“

-Ray Bradbury

Ray Bradbury, scrittore americano venuto a mancare quattordici anni fa, è stato un prolifico autore di libri e racconti di vario genere, con una predilezione per il genere horror e noir. Si caratterizza per una prosa poetica e musicale, che si arrotola su sé stessa come una spirale di sogni e avvolge il lettore invadendo la sua mente di immagini così nitide e suggestive da restare profondamente incise nella fantasia.

TRAMA
"Il popolo dell'Autunno" è uno dei suoi libri più famosi, da cui è anche stato tratto un film, ben poco famoso a causa delle sue vicissitudini commerciali ma decisamente pregevole.
Negli anni Ottanta, in un piccolo paesino dell'Illinois giunge, inattesa, una fiera itinerante, ricca di attrazioni meravigliose e giostre superbe. Ma cosa nasconde l'inquietante proprietario Mister Dark, e perché intorno ad essa iniziano a verificarsi fenomeni insoliti e misteriose sparizioni? Jim e Will, i due giovani protagonisti, entusiasmati dall'arrivo della fiera, decidono di indagare, ma quello che inizia come un gioco spensierato li porta a scoprire verità tremende e terribili. La fiera nasconde infatti una giostra che possiede l'oscuro potere di far ringiovanire o invecchiare chi sceglie di salirvi. In molti non resistono alla tentazione di fare qualche giro sulla giostra, ma a che prezzo? L'amicizia di Jim e Will saprà resistere alle difficili prove che li attendono? E soprattutto le loro anime resteranno intatte nonostante i numerosi orrori a cui assisteranno?

Di cosa tratta il popolo dell'autunno? Difficile dirlo. Sono moltissimi i temi che Bradbury riesce ad affrontare, attraverso le righe di una storia che apparentemente sembrerebbe essere un semplice racconto fantastico dell'orrore per ragazzi.
I protagonisti hanno quattordici anni, un'età emblematica, in cui l'infanzia rimane poggiata sulle spalle come un mantello e l'età adulta, con i suoi misteri e i suoi drammi, appare come un lontanissimo traguardo.

Spesso il target di un'opera è deducibile dall'età dei suoi protagonisti, ma questo non vale per "Il popolo dell'autunno", romanzo che si rivolge ad un pubblico adulto e maturo, che nei due quattordicenni potranno rivedere lo scintillante splendore della propria trascorsa giovinezza.

JIM E WILL: DUE SGUARDI AGLI ANTIPODI SULLA GIOVINEZZA
Jim e Will, ragazzini dal carattere molto diverso ma legati da una forte amicizia, che li ha uniti sin dalla più tenera infanzia, vengono turbati dall'arrivo del circo, e le allettanti promesse che esso porta con sé rappresenteranno per entrambi una tentazione a cui è difficile resistere.
Jim, cresciuto senza padre, con una madre sempre triste, avverte in modo particolarmente forte il richiamo della giostra: dentro al suo cuore vorrebbe infatti essere già adulto, per poter sopperire alla mancanza di una figura genitoriale maschile, poter essere un sostegno per sua madre ed essere guardato dalle donne, dalle quali si sente molto attratto.
Will invece, che ha una famiglia sana ed è molto coccolato ed amato dai suoi genitori, non avverte lo slancio in avanti che attrae Jim, desidera soltanto trattenerlo a sé dal momento che gli vuole molto bene e lo considera il fratello che non ha mai avuto.
Non gli permette di lasciarlo indietro, anche quando lo vede scappare di casa da solo non si offende ma lo insegue, perché scorge che i suoi desideri potrebbero trascinarlo lontano da lui, lungo sentieri misteriosi dove lui non potrebbe seguirlo, e dove potrebbe cadere o perdersi per sempre.

Un altro personaggio importante, che si può annoverare tra i protagonisti, è il padre di Will, Charles. Essendosi sposato a trentanove anni, ha ormai superato i cinquant'anni e si sente spesso troppo vecchio per essere padre di un vivace quattordicenne, per il quale teme di essere un genitore inadeguato. In effetti i due non parlano molto, e questa mancanza di dialogo fa soffrire padre e figlio.
Tuttavia, è proprio con lui che Will sceglie di confidarsi, quando gli eventi sembrano sopraffarlo.
E il padre dimostra di credergli, gli offre la sua fiducia e diventa proprio lui un punto di riferimento anche per Jim, sempre in bilico sull'abisso dei suoi pensieri che minacciano di inghiottirlo, sul punto di gettarsi giù.

LA GIOSTRA, CULLA DI PROMESSE 

La giostra, il segreto inquietante che nasconde la fiera del signor Dark, capace di aggiungere anni così come di toglierli, rappresenta la tentazione, la promessa di realizzare sogni e desideri segreti ed inconfessabili. Una magia che sembra aprire ogni possibilità, una specie di miracolo, senza sforzo, il cui prezzo in realtà è un incubo, fornendo una punizione che ammicca ai ragazzi -come il Lucignolo di Collodi nel suo "Pinocchio"- incauti somari che visitano il paese dei balocchi e non sanno che quel viaggio non sarà senza conseguenze. 

Una storia di genere fantastico diventa così una metafora di riflessione sullo scorrere del tempo e sull'esistenza, sulle possibilità perdute e andate, su quelle che rimangono.
Un romanzo sui legami che si possono sempre riallacciare, sull'accettazione di sé stessi e del proprio tempo.

L'ADATTAMENTO CINEMATOGRAFICO: UN FLOP O UNA PERLA DIMENTICATA?
                  
L'adattamento cinematografico realizzato dalla Disney, ("Something wicked this way comes") - che poi lo ha rinnegato per via dello scarso successo ottenuto - è un prodotto visivo che ha i suoi limiti, non eccellente ma indiscutibilmente di notevole impatto, che riesce a restituire le stesse inquietanti ed introspettive atmosfere del romanzo.
Ovviamente a causa delle tempistiche ristrette del film qualche messaggio più sottile non è stato particolarmente chiaro, e avrebbe potuto essere sottolineato meglio, ma il senso profondo della storia era comunque definito e ben spiegato.
Molto discutibile la scelta di abbassare l'età dei protagonisti, che nel film hanno dodici anni, sono praticamente dei bambini e a quell'età è difficile avvertire la tentazione descritta nel libro di accorciare i tempi dell'infanzia e correre verso l'età adulta.
Il film inoltre è stato privato - probabilmente perché sarebbe stato troppo lungo - di alcune scene importanti, che tuttavia potevano essere inserite se fossero state evitate alcune parti che nel libro non c'erano e che quindi non risultavano in alcun modo propedeutiche alla storia.
Ho apprezzato particolarmente gli attori che hanno interpretato il signor Charles e mister Dark, rendendo indimenticabile il dialogo sul tempo intrattenuto fra le suggestive pareti di una silenziosa libreria, una scena decisamente spaventosa ma potentissima, che racchiude la morale di Bradbury.

Un'altra scena intensa è quella in cui il signor Dark apre le mani dinanzi a Charles, per mostrargli che si è tatuato i volti dei due bambini che cerca: un gesto che sembra la versione corrotta di una preghiera, con i palmi non rivolti al cielo ma verso un'umana creatura, mani che non implorano e non sperano ma che offrono e cercano dannazione e condanna. Mani che feriscono chi si abbandona alla loro stretta illusoria, dita terribili e mortali, di cui avere paura.
DA LEGGERE? OVVIAMENTE. E SOPRATTUTTO DA RILEGGERE...

Le parole di Bradbury si muovono in anelli vorticosi che confondono e avvincono il lettore in una morsa di spire.
Siete pronti a perdervi un tale labirinto di illusioni?                               
L'autore vi sfiderà a trovare l'uscita...                                                                    

sabato 27 marzo 2021

Il nuovo film di Tom e Jerry: capolavoro o flop?


Dal 18 marzo 2021, sulle principali piattaforme streaming è possibile vedere il film "Tom & Jerry". 
Il film, diretto da Tim Story, vede protagonista la celebre coppia animata di personag-gi della storica casa di produzione "Hannah Barbera" che ha appassionato generazioni di piccoli spettatori: il gatto e il topo più famosi del piccolo schermo, nemici per istinto eppure mai veramente cattivi l'uno con l'altro. 


La storia è nota a tutti: Tom, gatto grigio e bianco, pigrone e un po’ tonto, tenta ripetutamente, con metodi sorprendentemente ingegnosi, in contrapposizione alla sua ingenuità, di catturare Jerry, il topolino color cannella che, con notevole astuzia, comprende sempre i suoi piani in anticipo e si diverte a farli fallire miseramente, spesso facendoli ritorcere proprio contro di lui. A volte, concede all'avversario l'illusione della vittoria, ma si tratta sempre di ritirate strategiche per poi saltare fuori al momento giusto e fargli qualche spiacevole scherzo, vendicandosi.  
In grado di sopravvivere a cadute di molti piani, percosse, martellate ed ogni genere di incidenti che risulterebbero sicuramente fatali per qualsiasi essere vivente, Tom e Jerry hanno divertito con i loro battibecchi il pubblico per anni, proprio grazie all'assurdità delle loro avventure spinte all'estremo. 
E allora, è naturale che il progetto di realizzare un nuovo film con il famosissimo duo fosse anch'esso una scelta estrema, un po’ come i piani avventati di Tom. L'azzardo principale è stato l'uso della tecnica mista, ossia un film che inserisce, in sceneggiature dove recitano attori veri e propri, personaggi animati. 

Il risultato di questa idea è stato un successo - la produzione di qualcosa di innovativo e accattivante - o un fallimento, un prodotto creato sull'onda del successo ormai esaurito da decenni di film come "Space Jam" e "Chi ha incastrato Roger Rabbit"? 
Per rispondere bisogna analizzare questo film in ogni sua parte.

Kayla, ragazza squattrinata e priva di competenze, alla disperata ricerca di un lavoro, incontra per puro caso Linda Perrybottom, una donna che intende presentarsi ad un colloquio per tentare di ottenere un lavoro in un prestigioso hotel di New York in cerca di personale. Kayla, che non possiede neanche lontanamente un curriculum vasto e prestigioso come il suo, decide di sottrarglielo con l'inganno. Fingendosi l'esaminatrice dell'hotel, dichiara che non intende assumerla e, impossessandosi del curriculum di Linda, si presenta al posto suo. Grazie alle sue "nuove credenziali" viene immediatamente assunta, anche se il capo dei ricevimenti, il signor Terence, subodora il suo inganno e nutre seri sospetti nei confronti della sua professionalità.
Il direttore dell'albergo, Mr. Dubros, sembra invece favorevolmente impressionato dall'entusiasmo e dalla grinta di Kayla, la quale è particolarmente soddisfatta: lei, che non ha mai avuto prospettive lavorative interessanti, forse finalmente ha trovato un lavoro soddisfacente. 
Nello stesso periodo in cui Kayla viene assunta a tempo determinato, l'hotel ospiterà il matrimonio tra Preeta e Ben- coppia particolarmente facoltosa - evento che promette di dar lustro all'intera struttura, ragion per cui è imperativo che tutto sia perfetto. A questo punto della narrazione Tom e Jerry - che erano già comparsi durante alcuni dei loro famosi contrasti - entrano maggiormente nella storia. Il topo Jerry decide infatti di trasferirsi proprio nell'albergo, ma Mr. Dubros non può permettersi di ospitare un topo: cosa ne sarebbe della fama del suo hotel? 
Kayla, che desidera rendersi utile e farsi notare, si offre di risolvere la situazione, pro-ponendo l'assunzione di un gatto, il quale avrà il preciso compito di sfrattare il topo.
L'idea, che il signor Terence disapprova drasticamente, decisamente contrario alle ini-ziative della giovane nuova arrivata, viene invece accolta con entusiasmo dal direttore, il quale la autorizza a mettere in atto la sua soluzione. 
Peccato che il gatto scelto sia proprio Tom.
Inizia dunque tra i due animali uno scontro senza esclusione di colpi. 
Riuscirà Kayla a salvare il matrimonio e la reputazione dell'albergo, conquistando la stima del suo nuovo datore di lavoro? Oppure Tom e Jerry rovineranno tutto? 

L'aspetto centrale del film è ovviamente la presenza di Tom e Jerry, i quali danno il titolo al lungometraggio. L'animazione, realizzata da Framestore, risulta particolarmen-te curata. I colori matti permettono alle figure disegnate di inserirsi egregiamente nella realtà concreta e annullano parzialmente il disturbante effetto bidimensionale. 
Tom e Jerry replicano quasi perfettamente gli stessi scontri ripetuti più volte nei cartoni animati - si potrebbe parlare di episodi evergreen - che però, per chi li ha già visti in un contesto completamente animato, risultano triti e inseriti "a forza" in un contesto a cui non appartengono. Comunque, per i bambini che non li hanno ancora visti, potranno essere sicuramente piacevoli. 
Un dettaglio che non mi aspettavo e che ho apprezzato molto, è la presenza di numerosi camei. Prestando attenzione infatti, si possono notare personaggi presi a prestito da altri film e cartoni animati famosi, come Droopy, personaggio acquistato dalla Hannah Barbera, o richiami a capolavori Disney degli ultimi anni - i piccioni di “Bolt”-  e a film di culto come "Frankstein Junior". 

L'intreccio della narrazione, piuttosto semplice, viene retto da interpreti bravissimi, doppiati da italiani d'eccellenza (tra cui spicca l'inconfondibile Oreste Baldini, storica voce di numerosi ed amati personaggi, tra cui "Leone il cane fifone"). 
Nella trama principale si inserisce anche una sotto trama che gli adulti apprezzeranno certamente: la storia di Ben e Preeta i quali, prossimi alle nozze, scoprono di avere considerevoli problemi di comunicazione. Preeta preferirebbe una cerimonia semplice per coronare il loro sogno d'amore, ma si scontra con l'entusiasmo di Ben il quale, invece, desidera organizzare un matrimonio sfarzoso e in grande stile, per impressionare i genitori della ragazza che ama e anche per fare sfoggio delle proprie ingenti risorse economiche. Le disavventure causate da Tom e Jerry offriranno alla coppia l’occasione per rivalutare il loro rapporto, e Ben comprenderà che stare con un'altra persona significa essere più aperto alle sue esigenze e ai suoi reali desideri. 

Personalmente ho apprezzato l'intreccio secondario, ma è proprio la trama principale ad aver sollevato in me qualche perplessità. Un film rivolto specificatamente ai bambini, che dovrebbe veicolare un messaggio positivo, fallisce parzialmente nella missione. Kayla, la protagonista, riesce ad ottenere l'opportunità lavorativa che desidera grazie all'inganno, facendo uscire di scena Linda Perrybottom (cognome poco casuale, probabilmente) la quale, con il suo ordinatissimo tailleur, gli occhiali e l'espressione seria, è la rappresentazione incarnata dall'impegno e dello studio. 
Invece di apparire come personaggio positivo, però, viene introdotta come antipatica e scostante. Il cliché si ripete con il signor Terence, dipendente estremamente preparato dell'hotel, introdotto come sospettoso, ingessato e cattivo.
Kayla, al contrario, spicca per intraprendenza e simpatia, con il chiaro intento di accat-tivarsi il favore del pubblico. Analogamente Cameron, il cameriere, risulta un personaggio positivo, così come numerosi altri personaggi di umile condizione. 
Nonostante il finale, che riesce a dare un parziale riscatto a Linda e Terence, la scelta discutibile di dare ad entrambi una connotazione prevalentemente negativa, induce a chiedersi: l'idea di base dunque, qual è? L'intelletto machiavellico consente di avere la meglio sulla formazione professionale e sullo studio? E grazie alla furbizia si può giungere dove non si arriva con studio e talento? 

Nonostante ciò, il film riesce a trasmettere un messaggio positivo contro la discriminazione, presentando un teatro di personaggi di etnie diverse, divisi equamente tra figure positive e negative.

"Tom e Jerry", in conclusione, è un film che vale la pena guardare? Anche se sicuramente non si tratta di un prodotto neanche lontanamente paragonabile a "Tom e Jerry - Il film" del 92, che ho guardato in loop durante l'infanzia e che, rivisto di recente, è riuscito a commuovermi ancora, questo "reboot" (si può definire così?) di Tom e Jerry è un film forse eccessivamente lungo e semplice, per niente innovativo, ma sostanzialmente carino che, senza alcuna pretesa di essere un capolavoro, potrà sicuramente intrattenere i bambini e strappare un sorriso malinconico a chi, come me, ha vissuto il periodo dorato ed indimenticabile dell'infanzia guardando le avventure del gatto e del topo più famosi del mondo.

giovedì 2 aprile 2020

Cineforum: "La profezia dell'armadillo"






"La profezia dell'armadillo" è un film del 2018 di Emanuele Scaringi, trasposizione cinematografica dell'omonima opera a fumetti di Michele Rech -in arte Zerocalcare- fumettista romano di Rebibbia, il quale ha collaborato alla realizzazione della pellicola.

Ho provato sensazioni contrastanti, durante la visione. All'inizio ero disorientata dai distanziamenti rispetto all'opera originale e infastidita dal frequente turpiloquio, ma poi la pellicola mi ha rapita.

La storia verte intorno alle vicende di Zero che, a 27 anni, è un aspirante fumettista e vive da solo in un appartamentino perennemente disordinato vicino alla stazione, nel quartiere romano di Rebibbia,
un luogo dove ha da sempre vissuto con orgoglio, seppur in una condizione di inferiorità psicologica rispetto alla più prestigiosa zona centrale.
Il titolo del film prende il nome dal suo amico immaginario, un armadillo con fattezze umanoidi, una sorta di personaggio invisibile che solo lui può vedere, e rappresenta la concretizzazione delle sue paranoie ed ansie quotidiane.
Un giorno, ricevendo una e-mail, apprende la notizia della morte di una ragazza a lui molto cara, Camille. Camille è morta, morta di anoressia.
Originaria della Francia, precisamente di Tolosa, per un periodo della sua vita si era trasferita a Roma e studiava nella classe di Zero.
I due, diventati amici, avevano trascorso insieme l'adolescenza.
Zero ne era innamorato, ma non glielo aveva mai confessato, ed ora che è morta non potrà più farlo.
La consapevolezza della morte e dell'impossibilità di tornare indietro da un evento così terribile si fa strada dentro di lui lentamente. All'inizio gli sembra quasi che non sia veramente accaduto, non riesce a crederci. 

La difficoltà nel metabolizzare la perdita lo induce a rivivere i ricordi dei momenti più belli trascorsi insieme, al tempo in cui, come diceva lei, "erano leggeri" e ogni cosa faceva ridere, dormivano sui tetti e trascorrevano le notti a parlare di tutto e di niente.
Zero ricorda il suo sorriso semplice e il suo modo di comportarsi, molto diverso da quello delle altre ragazze che ha conosciuto. Camille era capace di sorprenderlo sempre. Ricorda che ascoltava musica francese, ballava al ritmo di ballate latine ed era capace di rendere speciale anche la melodia più banale. Ricorda che possedeva una delicatezza unica.
Ricorda i suoi grandi occhi, il suo corpo sempre più sottile nel corso degli anni.

E si rende conto che nel cuore di Camille si celava un dolore che nel corso degli anni l'aveva fatta ammalare.

E non capisce. Non capisce come si possa morire di anoressia. Nessuno le ha sparato, nessuno le ha fatto del male. Lei stessa si è annientata, si è spenta.
Questa fine lo spiazza, lo turba.
Il film lascia una domanda, nello spettatore: se lui le avesse confessato i propri sentimenti, lei sarebbe partita ugualmente da Roma? O magari se lui avesse capito il suo dolore e guarito il suo cuore, sarebbe rimasta e sarebbe ancora viva?
Un dubbio divorante con cui il protagonista si scopre destinato a convivere.

Nella vita del protagonista la figura di Camille costituiva una sorta di spirito guida, tanto che a distanza di tanti anni Zero ascolta ancora le sue canzoni preferite e ha studiato francese proprio perché era la sua lingua madre.
La consapevolezza della sua morte lo porta dunque a sentirsi privo di punti di riferimento.


Camille è stata soffocata da un mondo in cui ha deciso di diventare sempre più invisibile, fino a sparire.
Non rimane che il suo ricordo, che Zero vorrebbe ingrandire a dismisura per non perderlo, un lutto che vorrebbe gridare al mondo intero, vorrebbe disegnare nel cielo la sua sagoma con le nuvole. Ma non può far altro che accettarlo, e darle l'ultimo saluto durante una piccola cerimonia laica che sembra non rendere giustizia all'importanza che ha avuto nella sua vita.


Camille non è solo un personaggio, ma diventa anche un pretesto, un esempio per parlare di tutto ciò che si perde quando non si lotta abbastanza.
"Anche rinunciare significa scegliere" dice Zero al ragazzino al quale dà ripetizioni, ma in realtà si rivolge a sé stesso, pensando a Camille, e a tutte le battaglie per cui non ha combattuto, a tutte quelle possibilità perdute che non torneranno più.

Il periodo in cui Zero ha conosciuto Camille era quello dell'adolescenza, il periodo dei giuramenti solenni, delle promesse gridate alla notte, degli amori segreti mai confessati. Ma è anche il periodo della vita in cui si è arrabbiati, in cui si sogna un mondo diverso, in cui ci si immagina come adulti migliori di quelli incontrati fino a quel momento, adulti capaci di migliorare la società.
Lentamente però, senza quasi rendersene conto, Zero e i suoi amici si sono trasformati proprio in ciò che disprezzavano e speravano di non diventare.


La profezia dell'armadillo è un film sicuramente un po' strano ma profondo, toccante e delicato. 

La scelta del cast contribuisce in maniera decisiva alla sua riuscita.
Simone Liberati è perfetto nel ruolo del protagonista: ha gli stessi occhi tristi di Zero, l'identica malinconica cupezza. Riesce, con espressioni intense, ad esprimere tutta la complessità del personaggio che interpreta.
Una delle scene in cui la sua espressività mi ha colpita maggiormente è il momento in cui Zero legge la mail in cui apprende la morte di Camille.
Nel fumetto Zero fa un sorriso, e spiega che il suo non è assolutamente un gesto di beffa ma piuttosto una reazione legata ad un nervosismo che cela l'incapacità di riuscire a metabolizzare notizie serie ed importanti come i lutti.
In questa scena, nel film, non vengono fornite le spiegazioni aggiuntive del fumetto, ma sono ben riassunte nell'espressione di Liberati che riesce a restituire, in pochi istanti, la pienezza di quel gesto che manifesta tutto il disagio del personaggio.
Potrei aggiungere numerosi altri esempi, ma credo che uno sia sufficiente per parlare della bravura di Liberati.

Una menzione va anche a Pietro Castellitto che, nel ruolo di Secco, fedele amico di Zero, è molto somigliante alla sua controparte a fumetti, solenne e comico allo stesso tempo, e non credo ci fosse un attore più adatto alla parte.

A fare da sfondo al presente e al passato c'è sempre Rebibbia, luogo simbolico al quale il protagonista si ostina a rimanere aggrappato con orgoglio, perché emblema di un'identità che non vuole perdere, in fiera opposizione ai boriosi abitanti del centro.
Arrichiscono la pellicola piani lunghi e medi, che mostrano il contrasto tra le bellezze di Roma e il degrado di alcune tristi periferie, che possiedono il fascino delle cose abbandonate.

Il film lascia anche spazio a interessanti momenti di riflessioni politica e sono presenti riferimenti a fatti di cronaca, fra i quali il G8 di Genova, particolarmente caro a Michele Rech.

Il film, anche grazie alle musiche ben scelte - si va dalle colonne sonore di Giorgio Giampà alle principali hit musicali pop e rock di una ventina di anni fa - ha saputo restituirmi la sensazione di nostalgia provata durante la lettura del fumetto, insieme al timore di aver perduto qualcosa che non può più tornare.


Tuttavia non ho apprezzato alcune scene, che avevano sicuramente efficacia visiva e narrativa nel fumetto, ma hanno perso la loro potenza -anche comica- nella trasposizione cinematografica, diventate esagerate e vagamente grottesche.

Un esempio è l'episodio in cui Zero finge di strozzare la pianta decorativa nell'appartamento di sua madre, esasperato dall'incompetenza di quest'ultima nell'uso del pc.
Un momento che nel fumetto risulta simpatico e strappa un sorriso, nel film invece sembra un po' stupido.


Al di là di queste critiche credo che "La profezia dell'armadillo" sia veramente un ottimo film, da guardare forse più volte per comprenderne ogni sfaccettatura e coglierne l'impalpabile bellezza.

Vi si trova la dolce amarezza e la struggente poesia di vite alla deriva in cerca di riscatto, proprio quelle caratteristiche che mi hanno fatto innamorare dello stile di Michele Rech, una figura eclettica capace di raccontare il proprio universo - e sé stesso - senza cercare di cambiare la realtà, né di farla apparire migliore.













Per leggere la recensione della graphic novel "La profezia dell'armadillo" clicca qui