giovedì 2 aprile 2020

Cineforum: "La profezia dell'armadillo"






"La profezia dell'armadillo" è un film del 2018 di Emanuele Scaringi, trasposizione cinematografica dell'omonima opera a fumetti di Michele Rech -in arte Zerocalcare- fumettista romano di Rebibbia, il quale ha collaborato alla realizzazione della pellicola.

Ho provato sensazioni contrastanti, durante la visione. All'inizio ero disorientata dai distanziamenti rispetto all'opera originale e infastidita dal frequente turpiloquio, ma poi la pellicola mi ha rapita.

La storia verte intorno alle vicende di Zero che, a 27 anni, è un aspirante fumettista e vive da solo in un appartamentino perennemente disordinato vicino alla stazione, nel quartiere romano di Rebibbia,
un luogo dove ha da sempre vissuto con orgoglio, seppur in una condizione di inferiorità psicologica rispetto alla più prestigiosa zona centrale.
Il titolo del film prende il nome dal suo amico immaginario, un armadillo con fattezze umanoidi, una sorta di personaggio invisibile che solo lui può vedere, e rappresenta la concretizzazione delle sue paranoie ed ansie quotidiane.
Un giorno, ricevendo una e-mail, apprende la notizia della morte di una ragazza a lui molto cara, Camille. Camille è morta, morta di anoressia.
Originaria della Francia, precisamente di Tolosa, per un periodo della sua vita si era trasferita a Roma e studiava nella classe di Zero.
I due, diventati amici, avevano trascorso insieme l'adolescenza.
Zero ne era innamorato, ma non glielo aveva mai confessato, ed ora che è morta non potrà più farlo.
La consapevolezza della morte e dell'impossibilità di tornare indietro da un evento così terribile si fa strada dentro di lui lentamente. All'inizio gli sembra quasi che non sia veramente accaduto, non riesce a crederci. 

La difficoltà nel metabolizzare la perdita lo induce a rivivere i ricordi dei momenti più belli trascorsi insieme, al tempo in cui, come diceva lei, "erano leggeri" e ogni cosa faceva ridere, dormivano sui tetti e trascorrevano le notti a parlare di tutto e di niente.
Zero ricorda il suo sorriso semplice e il suo modo di comportarsi, molto diverso da quello delle altre ragazze che ha conosciuto. Camille era capace di sorprenderlo sempre. Ricorda che ascoltava musica francese, ballava al ritmo di ballate latine ed era capace di rendere speciale anche la melodia più banale. Ricorda che possedeva una delicatezza unica.
Ricorda i suoi grandi occhi, il suo corpo sempre più sottile nel corso degli anni.

E si rende conto che nel cuore di Camille si celava un dolore che nel corso degli anni l'aveva fatta ammalare.

E non capisce. Non capisce come si possa morire di anoressia. Nessuno le ha sparato, nessuno le ha fatto del male. Lei stessa si è annientata, si è spenta.
Questa fine lo spiazza, lo turba.
Il film lascia una domanda, nello spettatore: se lui le avesse confessato i propri sentimenti, lei sarebbe partita ugualmente da Roma? O magari se lui avesse capito il suo dolore e guarito il suo cuore, sarebbe rimasta e sarebbe ancora viva?
Un dubbio divorante con cui il protagonista si scopre destinato a convivere.

Nella vita del protagonista la figura di Camille costituiva una sorta di spirito guida, tanto che a distanza di tanti anni Zero ascolta ancora le sue canzoni preferite e ha studiato francese proprio perché era la sua lingua madre.
La consapevolezza della sua morte lo porta dunque a sentirsi privo di punti di riferimento.


Camille è stata soffocata da un mondo in cui ha deciso di diventare sempre più invisibile, fino a sparire.
Non rimane che il suo ricordo, che Zero vorrebbe ingrandire a dismisura per non perderlo, un lutto che vorrebbe gridare al mondo intero, vorrebbe disegnare nel cielo la sua sagoma con le nuvole. Ma non può far altro che accettarlo, e darle l'ultimo saluto durante una piccola cerimonia laica che sembra non rendere giustizia all'importanza che ha avuto nella sua vita.


Camille non è solo un personaggio, ma diventa anche un pretesto, un esempio per parlare di tutto ciò che si perde quando non si lotta abbastanza.
"Anche rinunciare significa scegliere" dice Zero al ragazzino al quale dà ripetizioni, ma in realtà si rivolge a sé stesso, pensando a Camille, e a tutte le battaglie per cui non ha combattuto, a tutte quelle possibilità perdute che non torneranno più.

Il periodo in cui Zero ha conosciuto Camille era quello dell'adolescenza, il periodo dei giuramenti solenni, delle promesse gridate alla notte, degli amori segreti mai confessati. Ma è anche il periodo della vita in cui si è arrabbiati, in cui si sogna un mondo diverso, in cui ci si immagina come adulti migliori di quelli incontrati fino a quel momento, adulti capaci di migliorare la società.
Lentamente però, senza quasi rendersene conto, Zero e i suoi amici si sono trasformati proprio in ciò che disprezzavano e speravano di non diventare.


La profezia dell'armadillo è un film sicuramente un po' strano ma profondo, toccante e delicato. 

La scelta del cast contribuisce in maniera decisiva alla sua riuscita.
Simone Liberati è perfetto nel ruolo del protagonista: ha gli stessi occhi tristi di Zero, l'identica malinconica cupezza. Riesce, con espressioni intense, ad esprimere tutta la complessità del personaggio che interpreta.
Una delle scene in cui la sua espressività mi ha colpita maggiormente è il momento in cui Zero legge la mail in cui apprende la morte di Camille.
Nel fumetto Zero fa un sorriso, e spiega che il suo non è assolutamente un gesto di beffa ma piuttosto una reazione legata ad un nervosismo che cela l'incapacità di riuscire a metabolizzare notizie serie ed importanti come i lutti.
In questa scena, nel film, non vengono fornite le spiegazioni aggiuntive del fumetto, ma sono ben riassunte nell'espressione di Liberati che riesce a restituire, in pochi istanti, la pienezza di quel gesto che manifesta tutto il disagio del personaggio.
Potrei aggiungere numerosi altri esempi, ma credo che uno sia sufficiente per parlare della bravura di Liberati.

Una menzione va anche a Pietro Castellitto che, nel ruolo di Secco, fedele amico di Zero, è molto somigliante alla sua controparte a fumetti, solenne e comico allo stesso tempo, e non credo ci fosse un attore più adatto alla parte.

A fare da sfondo al presente e al passato c'è sempre Rebibbia, luogo simbolico al quale il protagonista si ostina a rimanere aggrappato con orgoglio, perché emblema di un'identità che non vuole perdere, in fiera opposizione ai boriosi abitanti del centro.
Arrichiscono la pellicola piani lunghi e medi, che mostrano il contrasto tra le bellezze di Roma e il degrado di alcune tristi periferie, che possiedono il fascino delle cose abbandonate.

Il film lascia anche spazio a interessanti momenti di riflessioni politica e sono presenti riferimenti a fatti di cronaca, fra i quali il G8 di Genova, particolarmente caro a Michele Rech.

Il film, anche grazie alle musiche ben scelte - si va dalle colonne sonore di Giorgio Giampà alle principali hit musicali pop e rock di una ventina di anni fa - ha saputo restituirmi la sensazione di nostalgia provata durante la lettura del fumetto, insieme al timore di aver perduto qualcosa che non può più tornare.


Tuttavia non ho apprezzato alcune scene, che avevano sicuramente efficacia visiva e narrativa nel fumetto, ma hanno perso la loro potenza -anche comica- nella trasposizione cinematografica, diventate esagerate e vagamente grottesche.

Un esempio è l'episodio in cui Zero finge di strozzare la pianta decorativa nell'appartamento di sua madre, esasperato dall'incompetenza di quest'ultima nell'uso del pc.
Un momento che nel fumetto risulta simpatico e strappa un sorriso, nel film invece sembra un po' stupido.


Al di là di queste critiche credo che "La profezia dell'armadillo" sia veramente un ottimo film, da guardare forse più volte per comprenderne ogni sfaccettatura e coglierne l'impalpabile bellezza.

Vi si trova la dolce amarezza e la struggente poesia di vite alla deriva in cerca di riscatto, proprio quelle caratteristiche che mi hanno fatto innamorare dello stile di Michele Rech, una figura eclettica capace di raccontare il proprio universo - e sé stesso - senza cercare di cambiare la realtà, né di farla apparire migliore.













Per leggere la recensione della graphic novel "La profezia dell'armadillo" clicca qui



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