mercoledì 26 febbraio 2025

"Il colibrì" di Sandro Veronesi


Ho letto "Il Colibrì" perché mi è stato consigliato da una persona nel cui giudizio ripongo grande fiducia: è stato il mio primo confronto con l'autore, di cui non avevo letto altri libri. 
Parlo di "confronto" e non di "approccio" perché, a lettura ultimata, mi sembra di essere reduce di una lunga battaglia, che mi ha lasciata spossata e ferita, e sento le mente attraversata da tanti pensieri, riflessioni ingarbugliate. 
Sto scrivendo nel tentativo di chiarire la confusione nella mia testa, di riallineare tutte le idee, di analizzarle meglio una per una. 

"Il colibrì" è un libro che incuriosisce subito per la sua copertina gialla, per l'originale uccellino da cui prende il titolo al testo, che un pò mi riportava alla mente "Il cardillo innamorato" della Ortese e "Il cardellino" di Donna Tartt. 
A lettura ultimata posso dire di non essere andata lontano con gli accostamenti, visto che anche qui si trova un'intensa storia umana, tragica e intensa, fortemente intrisa di metafora. E un pizzico di fantastico, nelle iperboli funzionali al racconto. 

Marco Carrera: padre esemplare, marito fedele, dedito oculista. 
Una vita apparentemente perfetta, in cui ogni elemento è ordinato e al suo posto. 
Ogni certezza viene però spazzata via dall'incontro con l'analista di sua moglie che, infrangendo la segretezza a cui la professione lo vincola, per tutelare la sua incolumità decide di parlare con lui e confessargli qualcosa di sconcertante che farà crollare la vita che si è costruito.
Ma la vita di Carrera, del resto, è sempre stata tutt'altro che perfetta. 
La storia segue le vicende del protagonista dalla sua nascita sino al giorno della sua morte, ripercorrendone l'infanzia, l'adolescenza, l'età adulta e la vecchiaia: una vita intrecciata di dolori e sofferenze, e qualche raro momento di fulgida bellezza. 
La scelta della narrazione è particolarmente interessante: un intreccio di presente, passato e futuro, con un narratore onnisciente che anticipa, preannuncia, commenta, pontifica. 
Il testo è difficile da leggere perché manca di linearità: zigzaga fra gli anni, tace diverse cose, che pure al lettore arrivano con forza; a volte offre risposte prima delle domande; certe domande restano aperte sin quasi alla fine. 

Filo conduttore del romanzo è la resilienza, che Marco Carrera potrebbe a buon diritto annoverare tra i suoi pregi: la capacità di sopravvivere nonostante le avversità, di raccontarsi la realtà a modo suo ma senza mai mentirsi o mentire, di vivere anche quando intorno a lui c'è la morte. 
Morte delle persone che lui ama, ma morte anche di un sogno, di un progetto, di un'idea di vita. 
Si parla molto d'amore: quello poetico che lo lega a Luisa, unica donna da lui amata, un amore che non potrà mai vivere se non per lettera e in brevi parentesi della vita di entrambi, a causa dello scorrere delle loro esistenze ad un ritmo diverso. L'amore impulsivo e giovanile che lo lega a Marina. Quello feroce che lo lega al gioco d'azzardo. Poi il sentimento tenero e assoluto che lo lega alla figlia e infine alla nipote. 

Un leitmotiv del libro è la psicoanalisi. Marco Carrera non ricorre mai all'aiuto di un analista, ma tutte le donne della sua vita vi hanno fatto ricorso: sua madre, Marina, Luisa, sua figlia, sua nipote.
Marco non crede nella psicoanalisi e non vi ricorre mai, eppure con lo psichiatra della sua prima moglie ha un dialogo continuo, costruttivo ed importante, che proseguirà fino alla vecchiaia, e che lo aiuterà in momenti delicati della sua vita. E tutto il testo è l'analisi approfondita di un personaggio multiforme e intessuto di colpa e tormenti.

Quel che mi porto dietro dalla lettura di questo libro è soprattutto la riflessione sugli sguardi: da oculista, Carrera attribuisce grande importanza agli occhi, agli sguardi, al vedere e di esser visti. Gli sguardi creano, gli sguardi disfano. Definiscono, disegnano, racchiudono, liberano. Anche gli occhi diventano strumento asservito alla metafora: vedere per vivere, perché non si può vivere con gli occhi chiusi. Altrimenti si cade in burroni profondissimi, dai quali difficilmente c'è possibilità di risalita e salvezza. 
Vedere quindi, per esistere. Dinanzi agli altri e dinanzi a sé stessi. 

Un libro particolare, quindi: complesso, sfaccettato, narrato in maniera contorta e come se il legame fra i capitoli fosse dettato dai ricordi che via via riemergono in questo racconto di vita piuttosto che dalla successione temporale degli eventi, con una prosa forbita e incredibilmente ipotattica, che spesso diventa flusso di coscienza e costringe il lettore a seguire quel fiume di parole ovunque l'autore intenda condurre le sue acque misteriose. 
Una storia di vita, dunque. Verosimile, quasi. 
Perché "Il colibrì" è prima di tutto una metafora, metafora del vivere e del morire, della gioia e del dolore. 
Metafora di quel "quasi" che difficilmente si riesce a toccare, a raggiungere: di un'esistenza vissuta nell'eroismo quotidiano, dove non si vincono medaglie, coppe o trofei, spesso non si conquista il grande amore, non si vive la vita che si desidera. Quella vita in cui raramente si vince. E, anche quando si vince, si scopre poi che quella specifica vittoria non valeva nulla. 
Spesso si pede. 
Ma comunque, con ogni mezzo possibile, si vive. 
Senza mai chiudere gli occhi. 


"Ti piace giocare a pallone? Giocaci. Ti piace camminare in riva al mare, mangiare la maionese, dipingerti le unghie, catturare le lucertole, cantare? Fallo. Questo non risolverà nemmeno uno dei tuoi problemi ma nemmeno li aggraverà, e nel frattempo il tuo corpo si sarà sottratto alla dittatura del dolore, che vorrebbe mortificarlo. [...] Non dico che le tornerà la voglia di vivere. Probabilmente non le tornerà. Ma starà comunque vivendo."



venerdì 14 febbraio 2025

Libri con storie d'amore age gap

Storie d'amore in cui i due protagonisti hanno una grande differenza d'età: perché piacciono così tanto? Forse a intrigare è il fascino di un sentimento complesso, che sfida le regole sociali, spesso proibito e sempre ostacolato dall'insormontabile dittatura del tempo. 

Oggi vi propongo una serie di libri che, a mio parere, trattano questo tema in maniera delicata.


1. JANE EYRE di Charlotte Brönte 

Conosciutissimo, ma sicuramente immancabile in una lista come questa: Jane Eyre, la giovane dal passato tragico che si innamora del padre della bambina a cui fa da istitutrice.
La scrittrice, innamorata di un suo insegnante, scrisse questo romanzo per dare compimento, nella finzione narrativa, al suo triste amore impossibile. 

2.ELOISA E ABELARDO- STORIA DI UN AMORE di Manuela Raffa

Una storia d'amore tra una giovane donna e il suo istitutore. La riscrittura in forma di romanzo racconta, con profonda introspezione, la vera storia di Abelardo ed Eloisa, vissuti nel 1100, i quali si lasciarono travolgere da una travagliata passione che condusse entrambi alla rovina. 


3. PAPER MAGICIAN di Charlie N. Holmeberg 

Sì, in questa lista c'è un fantasy! La giovane protagonista, Ceony, sta per diventare una Piegatrice, ossia una studiosa della magia della carta. Viene assegnata come apprendista ad un carismatico ed ombroso maestro, del quale si innamorerà... e a cui salverà la vita, creando per lui un cuore di carta. Ma tantissime avversità sono in agguato nel loro futuro: sapranno fronteggiare ogni difficoltà?
Una trilogia dolcissima e delicata, e -sì, faccio spoiler e non mi pento di nulla- con un finale felice.


4.UN AMORE di Dino Buzzati

Un cinquantenne ormai disilluso dalla vita si incapriccia di Laide, una giovane prostituta vent'enne. L'intero romanzo, ambientato in una Milano della seconda metà del 900, irride le convinzioni della società e sviscera le contraddizioni di un sentimento complesso che viene definito, arditamente, amore. Se questo sentimento si possa definire davvero tale, se sia un desiderio oppure ossessione, sarà il lettore a deciderlo.

5. UCCELLI DI ROVO di Colleen McCullough

Forse uno dei libri più belli che abbia mai letto.
Una saga familiare, un amore turbolento e controverso che percorre intatto gli anni e le tragedie della vita. 
Un libro tragico, drammatico, dilaniante che, all'epoca della pubblicazione, causò scandalo poiché narrava un legame proibito tra una giovane e un sacerdote.
Il testo, sebbene abbia una lunghezza considerevole, è molto scorrevole e si legge con piacere. 




6. LA SAGA DEL DOMINIO di Licia Troisi 

Myra e Acrab sono i protagonisti di questa saga fantasy che, al contrario della sopracitata Paper Magician, narra una storia tormentosa, crudele, che priva il lettore di un finale felice. Un finale risolutivo e positivo è infatti impossibile per due personaggi così corrotti e spezzati. Il loro amore, tuttavia, seppur contorto, sbagliato, assurdo, è il filo che regge l'intera narrazione ed è talmente intenso da far male. 


7.LA RAGAZZA CON L'ORECCHINO DI PERLA di Tracy Chevalier 

Il libro, mischiando invenzione e romanzo storico, immagina la vicenda dietro il problematico quadro di Vermeer, ipotizzando un'infatuazione -ricambiata- del pittore per una donna molto più giovane. 

giovedì 13 febbraio 2025

"Il cardellino" di Donna Tartt


Theo è un adolescente quando, accusato ingiustamente da un compagno di essere in possesso di un pacco di sigarette, viene rimproverato dalla preside, che convoca sua madre. Quel mattino, prima di recarsi a scuola per il colloquio con la dirigente, la donna propone al figlio una visita al museo, poiché l'arte è la sua grande passione e desidera distrarsi. Proprio quel giorno però accade una tragedia: una bomba esplode nel museo, e sua madre, che si era allontanata da lui per guardare una seconda volta "Lezione di anatomia", una delle sue opere preferite, rimane vittima dell'incidente.

Prima che Theo scappi dal museo un uomo anziano, in punto di morte, lo ferma e lo supplica di portare con sé in salvo un piccolo quadro: ritrae un uccellino, un cardellino. Theo prova un istintivo senso di tenerezza verso quel quadro, che ha guardato poco prima con sua madre -poco prima di perdere tutto- e gli ricorda uno degli ultimi momenti di pace prima che la sua vita andasse in frantumi.
Dando ascolto all'uomo porta dunque con sé il cardellino. Da quel momento non se ne separerà mai, custodendolo gelosamente, amandolo come se potesse sostituire il perduto amore di sua madre, donna che con la sua assenza domina l'intero romanzo.
In mancanza di suo padre, praticamente irreperibile da anni, Theo viene affidato alla famiglia di Andy, un suo compagno di classe.
La madre di Andy si affeziona particolarmente a Theo, tanto da decidere di adottarlo. Proprio quando prende questa importante decisione si presenta il padre del ragazzino. È uno dei momenti significativi del destino, uno snodo essenziale della sua storia: se fosse rimasto con la benestante famiglia dei Bourbon la sua vita sarebbe stata migliore, sicuramente più sana e serena.
L'intervento del padre invece lo induce a virare verso una direzione poco sana, una vita dove la droga, il fumo e l'alcool saranno la sua unica compagnia, alla cui iniziazione contribuirà non solo lo sbandato padre e la sua fidanzata, ma anche e soprattutto Boris. Di origini russe e anche lui proveniente da una disordinata situazione familiare, diventa quasi l'unica compagnia di Theo. Frequentano la stessa scuola, trascorrono insieme i pomeriggi e le notti, instaurando un rapporto ossessivo, ambiguo e tossico.
Boris, carismatico ed estroverso, esercita sul timido Theo un fascino pericoloso. Il ragazzo vuole fare una buona impressione su di lui perciò, ogni volta che l'amico gli propone una nuova trasgressione, non rifiuta mai, diventando rapidamente dipendente da sostanze sempre più pesanti.
Quando le vite li separeranno, lo incontrerà di nuovo da adulto, e si farà coinvolgere da lui nell'ennesima avventura.

Verso quale percorso virerà la vita di Theo? Verso la distruzione o la salvezza?

Il legame tra Boris e Theo è uno dei punti centrali del libro, un rapporto che resisterà agli anni e alla distanza, per poi essere recuperato intatto quando si ritroveranno, da adulti.
La loro amicizia conserva nell'età adulta la stessa ambiguità eppure è arricchita da un'intensità nuova. Boris, che da bambino aveva preso per mano Theo e lo aveva accompagnato nell'abisso, quando lo incontra da adulto invece lo aiuta a recuperare stabilità e sanità mentale, anche se a modo suo.
Un legame che nasce sbagliato, si evolve, muta.
"Perdonami per tutto il male che ti ho fatto" è la prima cosa che gli dice, quando lo incontra di nuovo.
Boris si è reso conto di non essere un personaggio vincente, ha semplicemente lottato per sopravvivere in un mondo ostile in cui la strada criminale era la sola che conoscesse.

Tutti i personaggi sono estremamente complessi e contraddittori. L'autrice stessa, in un'intervista, ha dichiarato che i suoi personaggi possono sembrare incoerenti perché "le persone fanno cose imprevedibili" ma, a suo giudizio, i comportamenti inaspettati rendono i personaggi più realistici.
In effetti, essendo arricchiti di sfaccettature, come in "Dio di illusioni", questi protagonisti si mostrano ingiudicabili e sfuggono ancora una volta ad ogni tentativo di definizione.

Lo stesso Theo, in un mondo pieno di mutevoli individui che si nascondo dietro rigide maschere, vede crollare ogni appoggio e trova il suo unico punto fermo nell'arte, dedicando la sua esistenza soprattutto alla protezione del piccolo dipinto, come se fosse l'unico frammento puro da conservare della sua infanzia.

Inevitabilmente, Theo non fa che tormentarsi e domandarsi chi sia, dopo aver perso tutto ciò che credeva di avere, sentendosi spesso in colpa per essere sopravvissuto al posto di sua madre, di cui gli sembra quasi di aver rubato la vita.
Per questa ragione si aggrappa ossessivamente al quadro del cardellino, unica immagine di pace nella sua mente travagliata. Inaspettamente, è proprio Boris ad aiutarlo e, seppur in modo contorto, gli salverà la vita in tanti modi.

Il romanzo induce il lettore ad interrogarsi sul fato, sulle diverse strade della vita e sulle sue imprevedibili coincidenze.
Esiste un destino inevitabile? In cosa consiste la nostra vita, se tutto è già stabilito?

Ancora una volta, con "Il cardellino", Donna Tartt avvince i lettori in una storia soffocante e claustrofobica, che strangola e annichilisce, rendendo la lettura un'esperienza catartica ed intensa, indimenticabilmente dolorosa.

martedì 11 febbraio 2025

"Odio e amo" la storia di Catullo


Dimmi che preferisci me a lui» mi lasciai sfuggire. Era una richiesta esagerata, lo sapevo, ma non potevo farne a meno. Per un attimo ebbi paura di aver osato troppo.
«Catullo, se io avessi potuto avere un marito come te…» mi rispose seria, sciogliendosi dall’abbraccio. «Se avessi potuto scegliere, avrei scelto te.»"

Daniele Coluzzi, già autore di un retelling del mito di Persefone, torna a lasciarsi ispirare dal mondo classico per una nuova opera, stavolta dedicata al celebre poeta latino Catullo, i cui versi d'amore e dolore hanno accompagnato generazioni di adolescenti nell'esperienza dei primi amori e dei primi dispiaceri. 

"Odio e Amo" è un libro che offre un viaggio affascinante nella vita di Catullo, restituendo al lettore non solo il poeta, ma l'uomo dietro i versi. Con un linguaggio scorrevole, l’autore intreccia storia e letteratura in un racconto vibrante, che cattura le passioni, le delusioni e i turbamenti interiori di uno dei più grandi lirici latini.

Un’opera che sa coinvolgere anche chi ha poca familiarità con la poesia antica, rendendo Catullo un personaggio sorprendentemente vicino e attuale, come sempre attuali sono le gioie e i dolori del cuore. 

martedì 4 febbraio 2025

Eloisa e Abelardo: storia di un amore

"Non immaginava l’amore, Eloisa. Non lo nominò, come se privandolo della parola, esautorandolo di significato, potesse debellarlo dalla propria carne, dalla mente, da se stessa. Lo ignorava, come con una malattia, che avviluppa il corpo, lo debilita, ma non si accetta per non ammettere di essere condannati."


"Storia di un amore" è una scrittura in chiave narrativa della storia d'amore più triste di tutti i tempi. Un libro introspettivo, doloroso, crudele. Intenso. 

Quella di Abelardo ed Eloisa- studentessa e maestro che intrecciarono una relazione passionale e proibita, nella Francia del 1100 circa - è stata spesso descritta come una storia d'amore intensa e bellissima, una delle più appassionanti di tutti i tempi. 

Forse anche la trasposizione cinematografica -"Stealing Heaven", che ci mostra i due protagonisti ancora innamorati in età avanzata - ha contribuito a rafforzare l'interpretazione romantica della vicenda.

Tuttavia, leggendo attentamente le lunghe lettere che i due amanti si scambiarono, la loro unione appare molto diversa da una storia di autentico amore.

Manuela Raffa offre dunque ai lettori un'analisi lucida della loro famosa storia.


Lui, brillante filosofo francese, scelto da Fulberto per educare la nipote adolescente Eloisa, si invaghì della ragazza e, consapevole fin da subito dell'ascendente che esercitava su di lei, la sedusse intenzionalmente, e senza difficoltà. 
Eloisa, erudita ma assolutamente inesperta del mondo, appena adolescente, fu dunque manipolata da un uomo molto più vecchio di lei, che tutti credevano meraviglioso- che lei stessa reputava tale - rimanendo vittima del suo fascino, del suo abuso psicologico: una violenza inflitta sulla sua mente ingenua, sul suo corpo giovane, e infine al suo cuore vergine.

I rapporti a cui la induceva Abelardo erano talvolta persino violenti, e lui, per sua stessa ammissione, arrivava a percuoterla e a pretenderla anche quando lei non voleva. 
Abelardo dava alla sua passione irrefrenabile il nome di amore, e così ingannava Eloisa, che faceva ogni cosa per lui, ogni sacrificio, convinta di essere ricambiata, e sicura che lui l'avrebbe maggiormente amata quanto più lo avesse accontentato e soddisfatto in ogni suo desiderio, anche il più turpe.

Probabilmente  Eloisa, orfana che non aveva mai conosciuto alcun tipo di figura genitoriale, vedeva in Abelardo non solo un compagno, un amante, ma primariamente una figura adulta da compiacere e che, in cambio di quel compiacimento, le avrebbe fornito accudimento e tenerezza. 
Un accudimento che si rivelava saltuario, altalenante, insicuro. Fin quando lo zio di Eloisa, Fulberto, scoprendo la relazione segreta tra i due, scacciò l'illustre maestro da casa sua. Quando scoprì che la giovane era, prevedibilmente, rimasta incinta, gli ordinò di sposarla per riparare alla terribile offesa. 
Eloisa però non voleva sposarlo, perché sapeva che Abelardo lo avrebbe fatto solo per accontentare Fulberto e che in realtà non desiderava una moglie, che avrebbe danneggiato la sua immagine e posto potenzialmente un freno alla sua carriera. 
Se fosse stato costretto a sposarla, lui l'avrebbe odiata e lei lo avrebbe perso per sempre. Ad Eloisa non importava di essere considerata una svergognata, e non si sentiva colpevole di nulla: nella sua visione delle cose, semplicemente agiva per amore. 
Abelardo, invece, che ragionava soltanto con il suo egoismo, voleva banalmente esercitare il proprio possesso sulla giovane. 
Dopo una rocambolesca serie di avvenimenti sempre più oscuri Fulberto, convinto che Abelardo avesse vigliaccamente abbandonato sua nipote, fece evirare Abelardo, esponendolo alla pubblica vergogna e sottraendogli per sempre la dignità e lo strumento con cui aveva offeso la sua Eloisa. 
Eloisa, pur affranta, era comunque innamorata e disposta a stare con lui anche in quella triste condizione. Ma fu Abelardo che a quel punto, ormai privo dei desideri carnali, abbandonò Eloisa. 
Non solo: gelosissimo all'idea che lei potesse essere stretta e amata da un altro uomo, le diede ordine di prendere i voti ed entrare in convento. Scelta che lei abbracciò non per vocazione, ma per farlo felice, ancora una volta. 
Dopo questo gesto, Abelardo rivide pochissime volte Eloisa, lasciandola sola senza mostrare alcun dispiacere e, come si evinceva dalle lettere, abbandonandola al dolore e alla solitudine. 
Se lui era stato mutilato nel corpo, la stessa cosa non era accaduta a Eloisa che, tormentata dal ricordo dei passati piaceri, soffriva molto nel sacrificare la sua gioventù abbracciando una vita consacrata che non desiderava.
L'unico suo desiderio era l'amore di Abelardo, che lui le nagava e che, addirittura, nelle lettere che di rado le scriveva, riduceva il suo sentimento ad un peccaminoso desiderio e nulla più, dichiarando palesemente di non averla mai davvero amata come compagna di vita. 

Ecco, infatti, alcuni passi tratti dalle lettere di Abelardo: 
"L'amore che ci trascinava al peccato, era attrazione fisica, non amore. Con te io soddisfavo le mie voglie, e questo era quello che amavo di te. Quella che tu chiami memoria d'amore non è altro che memoria del peccato. Ti prego, dimentica il passato, come ho fatto io.
Non ho mai cercato altro in te che il piacere. Se sono stato chiamato da tutti il primo dei filosofi, non è stato l'amore di Dio né il desiderio della virtù a condurmi a te, ma solo la passione dei sensi."

Impossibile non immaginare la fitta al cuore che deve aver provato Eloisa alla lettura di queste paroli atroci e crudeli, che la riducevano ad un oggetto: lei, che gli aveva offerto la sua anima, lei che con fiducia gli aveva permesso di metterle le mani nella testa, di spostare tutto, di comporre nuove forme e figure a suo piacimento. 

Abelardo quindi ha amato veramente Eloisa? L'ha amata, ma come un drago ama il suo oro, come un ricco ama il suo denaro. La amava, purché fosse la sua ombra, purché fosse seconda a lui, la amava finché aveva bisogno di lei per soddisfare il suo ego, il suo complesso di Pigmalione e soprattutto i suoi piaceri. 

Eloisa comprese tardi l'egoismo di Abelardo, rimanendo legata a lui per tutta la vita, in bilico tra amore, rancore e delusione. 
Abelardo illuse Eloisa offrendole da bere il più dolce dei veleni: la seducente speranza. E non finì bene. Per nessuno.

"[Eloisa] era spaventata. Come se si fosse avvicinata a un fuoco: traeva beneficio dal calore, che la inebriava, la scaldava, ma temeva di bruciarsi. Qual era la giusta distanza da tenere? La sua storia non era destinata a un futuro roseo. Pietro non era libero. La strada che aveva scelto per sé comportava la solitudine."

La lettura del libro, in un crescendo di orribili avvenimenti che fa avvertire al lettore il dolore della protagonista tanto intensamente come se fossi egli stesso a viverlo, induce una domanda: oggi questa storia ha qualcosa da insegnare? 
Sicuramente. Ogni vita può dare un insegnamento. 
E forse quello che lascia Eloisa è di fare attenzione al proprio cuore, alla propria anima. E di dare sempre priorità alla propria libertà. 

"Come mi confondevi, con i tuoi umori altalenanti, i tuoi momenti di tenerezza o di freddezza. Provavo a seguirti, a interpretarli, ma era impossibile. Sbagliavo sempre. Se mi allontanavo, non mi lasciavi andare. No. A quel punto, tornavo importante, bellissima, una tua priorità. Poi tutto ricominciava, nel logorio dei tuoi umori.
E io ho lasciato che tu mi distruggessi.
Ti ho amato, quanto ti ho amato. Con la forza della gioventù, dell’ammirazione, con ogni angolo della mia mente e del mio corpo. Eri un maestro brillante, le tue argomentazioni brecciarono il mio cuore come pietre scagliate da una catapulta. Erano innovative, brillanti, argute. Incontravano il mio gusto, che si adeguò al tuo e fiorì sul sentiero che avevi tracciato. Pensare, non fermarsi al senso letterale. Andare oltre l’insegnamento ricevuto in passato e calare ogni argomento nella realtà.
Hai inebriato il mio spirito, poi ti sei spinto fino al mio cuore.
Non volevo questa vita.
Mi hai piegata con gli argomenti dell’amore. E poi li hai accantonati, come se fossero inutili.
In fondo, lo erano, ormai."

Una storia, dunque, quanto mai attuale, attualissima, in quest'epoca tristemente dilaniata dal sangue di tante donne che, per accontentare gli umori di piccoli uomini come Abelardo, si annullano, si riducono, si annientano. Si lasciano distruggere. 

Voglio concludere questo articolo con il frammento di una delle lettere di Eloisa che - seppur sola, abbandonata - non si mostrò sconfitta, e con coraggio scrisse chiaramente quel che pensava, inchiodando Abelardo alle sue colpe e riconoscendosi - come avrebbe scritto diversi secoli dopo Emily Dickinson, che si accusava di "aver tenuto oggettini placcati sulla mensola dell'argenteria" - un'unica grande responsabilità: quella di essersi fidata di lui, di essersi accontentata di un ruolo marginale, di aver dato troppo, aver preteso troppo poco, aver accettato un amore senza parità. 
Una donna come lei, una mente come la sua, che avrebbe avuto ogni diritto di pretendere un amore che la rispettasse, che la accettasse in tutta la sua totalità, che l'aiutasse a crescere, che non volesse soffocarla. 

"Sarò costretta a dire io quello che penso, o meglio quello che ormai tutti sospettano: i sensi e non l’affetto ti hanno legato a me; la tua era attrazione fisica e non amore, e, quando il desiderio si è spento, con esso sono scomparse anche tutte le manifestazioni di affetto con cui cercavi di mascherare le tue vere intenzioni. [...]
Tu sei stato crudele nel trascurarmi, ma io sono stata più crudele con me stessa, perché mi sono abbandonata completamente a te. Ora l'amore è stato sconfitto dalla ragione, ma il mio cuore non può dimenticare ciò che ha sofferto per te."

Eloisa si lasciò soffocare da Abelardo. Oggi, tanti secoli dopo, memori di Eloisa, noi donne abbiamo il dovere morale di non ripetere il suo destino: perché il suo dolore non sia stato vano, perché nessuna donna conceda mai più ad alcun uomo un così grande potere sulla sua persona, sulla sua mente, sulla sua vita. 
Che possano essere messi all'angolo tutti gli "Abelardo" del mondo, mostruosi nel loro perbenismo e nelle loro autogiustificazioni: che nessuna donna permetta a nessuno, mai più, di trattarla come Abelardo ha trattato Eloisa.