CAPITOLO 9
La luna non si era ancora innalzata nel cielo quando Alessandro entrò nella sua camera da letto. Perciò, quando spense la luce, la sua camera piombò in un buio quasi assoluto.
Scivolò silenziosamente nel letto, distendendosi sotto le coperte. Chiuse gli occhi, ma il sonno tardava ad arrivare.
Alessandro iniziò a preoccuparsi. E se proprio quella notte il suo potere non si fosse manifestato, impedendogli di dimostrare al suo amico che i poteri che sosteneva di avere erano reali?
Sarebbe stata una coincidenza veramente sfortunata.
Ma non accadde. Finalmente percepì il familiare torpore che precedeva il sonno avvolgergli le membra, e si sentì sprofondare verso il basso, come se affondasse in un mare in cui era dolce annegare.
Quando aprì gli occhi, si ritrovò a fissare il proprio corpo addormentato, e il mondo sussurrante e sibilante della notte si dischiuse dinanzi a lui, solo spettatore di quello spettacolo unico.
Lasciò la stanza con il proprio corpo addormentato, e attraversò le mura per uscire di casa.
I lampioni gialli illuminavano stancamente le case e le strade, tingendo tutto il paesaggio di un blando colore dorato. Alessandro conosceva la strada che conduceva a casa del suo amico praticamente a memoria. La casa di Roberto era per lui quasi più nota della propria. Quando erano bambini giocavano sempre a casa sua, dal momento che, fra i due, era lui quello che aveva più fumetti, giochi e videogiochi.
Avevano trascorso lunghissimi pomeriggi a divertirsi, a ridere, a volte a non fare nulla, a chiacchierare pigramente nel cortile guardando le nuvole, nelle limpide giornate d’estate.
Sembrava essere trascorsa un’eternità, da allora.
Camminando, si accorse di passare accanto alla casa della ragazza bianca. No, non era più solo questo. Ora era Natalia, una nuova ragazza della sua classe, seduta al primo banco vicino a Matilde.
Lei, la ragazza che sembrava albina ma non lo era, la ragazza che non voleva rivelare da dove veniva, che aveva lasciato che le altre le si presentassero, senza dire veramente nulla di sé.
Desiderava ardentemente sapere di più su di lei, ma per il momento non le aveva ancora mai parlato.
Passando davanti alla sua casa, fu colto dal desiderio di entrare e vederla di nuovo, ma doveva andare dal suo amico. E stava davvero per procedere, quando udì un canto. Era il canto della voce più delicata che avesse mai udito, una voce leggera e allo stesso tempo forte, un canto limpido come il cristallo.
Era la sua voce, la voce di Natalia.
Non riusciva a distinguere con precisione le parole, ma gli venne voglia di udirla più distintamente, di vederla.
La notte era lunga, aveva tutto il tempo di andare dal suo amico più tardi.
Così, senza indugiare oltre, oltrepassò il cancello come uno spettro e raggiunse il giardino. Lei era lì, seduta sull’altalena, lo sguardo perso nel vuoto. Si dava piccolissime spinte con le gambe, e l’altalena oscillava avanti e indietro. Non produceva il minimo suono. Era grande, di ferro, e faceva sembrare Natalia ancora più piccola e delicata di quanto non fosse in realtà.
Era di nuovo vestita di bianco. Indossava una camicia da notte lunga sino alle ginocchia che le lasciava le gambe, magre e candide, scoperte.
Le mani erano appoggiate alle aste dell’altalena. Alessandro osservava rapito il suo viso. Un viso bello di una bellezza particolare, magica: il genere di viso che, dopo averlo osservato una volta, ti veniva voglia di riguardare, e ancora, e ancora, e ancora.
Le ciglia e le sopracciglia erano bianchissime, sembrano coperte da minuscoli fiocchi di soffice neve. Le labbra erano pallide, dure, e sembravano ghiacciate. Finalmente, potendole stare così vicino, ebbe l’immenso privilegio di guardarla negli occhi.
Le sue iridi erano quanto di più meraviglioso avesse mai visto. Sembravano grigie, ma avevano sfaccettature color malva, che rendevano il loro colore tendente al viola.
Sembravano occhi capaci di trattenere la luce, risplendevano nel buio come due minuscole stelle.
L’ombra le stava sempre attorno, si stendeva dietro di lei, e questo dava la vaga impressione che dietro la sua schiena si aprissero un paio di grandi ali nere.
Dentro di sé, Alessandro la paragonò ad una fata di luce, con ali di tenebra.
La canzone della ragazza parlava di stelle e silenzio, di una luce bella e lontana, irraggiungibile, e di una principessa che trascorreva la vita intera ad ammirarla, ricordando che una volta l’aveva avuta a portata di mano.
Era una canzone che faceva pensare alle occasioni perdute, e rese Alessandro immensamente triste.
Anche la melodia era malinconica, e al ritmo di quella musica lugubre e triste si muoveva l’ombra, dietro di lei.
Eppure, per qualche ragione che non riusciva a spiegarsi, desiderava starla a sentire, e continuare a guardarla.
La luna si alzò finalmente nel cielo, alta e piena, scivolò sui suoi capelli e illuminò la sua intera figura con la propria luce. Gli occhi di Alessandro si sgranarono dinanzi a tanta meraviglia.
Natalia era bellissima. La ragazza più bella che avesse mai visto.
Il canto terminò, e la ragazza tacque. Si mise le mani in grembo e si guardò attorno. Alessandro sapeva di dover andare via, ma era come se una forza misteriosa e magnetica lo attirasse verso di lei, impedendogli di allontanarsi.
Forse, si disse, poteva restare per udirla cantare, solo una volta ancora.
Ma lei non cantò più. Sospirò invece, ed iniziò a parlare.
-Cara Alice – sussurrò – io non so quale sia stata la tua fine. Non so se tu sia ancora viva da qualche parte, o se sei morta.
Vorrei tanto parlarti. Dal momento che non ci sei, può sembrare che questo mio desiderio non abbia senso. Ma se sei morte, ovunque sei le mie parole ti arriveranno, ne sono certa. Se invece sei viva, ciò che io spero, una misteriosa magia potrebbe portarti le mie parole.
E allora come vedi sì, in ogni caso ha senso. –
Parlava a voce tanto bassa che Alessandro si accosto a lei per udirla più da vicino.
Non poté fare a meno di chiedersi chi fosse Alice, e perché Natalia non sapesse se era viva o morta.
-Mi hanno chiamata pazza- continuò, con un leggero tremito nella voce – solo perché non volevo lasciar andare il tuo ricordo. È assurdo, vero? –
Si guardò attorno.
-Ti ricordi il nostro giardino? Era simile a questo. Tu eri la mia fata buona… io con te non avevo paura di nulla. Perché sei andata via, perché? –
Una lacrima, un’unica lacrima le scivolò lungo la guancia destra, simile ad un fiume di ghiaccio. Quando Alessandro la vide, un grande dolore gli salì nel cuore, e desiderò confortarla, in qualche modo.
Allungò le dita nell’aria, ma le ritrasse, timoroso. Poi le tese di nuovo verso di lei e infine le sfiorò la spalla destra. Sapeva che lei non poteva percepirlo, ma lui aveva bisogno di starle vicino.
Non appena le sfiorò la pelle, vide delle immagini.
Erano solo dei flashback, ma vividi come ricordi.
Una ragazza camminava lungo una strada. Aveva capelli biondi chiarissimi, agitati dal vento, un cappotto azzurro e una gonna celeste, stivaletti neri.
Attorno a lei fluttuavano foglie di mille colori. Il cielo era plumbeo. Era una tiepida sera d’autunno.
La ragazza alzava la testa dietro le spalle, sollevava una mano per salutare.
Poi, lentamente, voltava l’angolo sino a scomparire, insieme all’ultima luce del tramonto.
Dopo quell’immagine muta e vivida ne comparve un’altra ancora, una stanza bianca, silenziosa come un grido.
Alessandro, scioccato, tolse la mano dalla spalla di Natalia. E lei si portò la mani proprio lì, dove lui l’aveva sfiorata.
-C’è qualcuno? – domandò, sospettosa e spaventata, guardandosi intorno.
Scese dall’altalena. Alessandro non osava muoversi. La ragazza guardava fisso nella sua direzione.
Non può vedermi, si ripeteva il ragazzo. Nessuno poteva vederlo.
La ragazza procedette verso di lui, ma lo oltrepassò. E lui ebbe la certezza che neanche lei potesse vederlo. Ma, in qualche modo, sapeva che lui era lì. Come lo sapeva? Perché lo aveva sentito?
Quando aveva sfiorato suo fratello, la prima notte in cui aveva scoperto cosa poteva fare, quando credeva ancora che le sue abilità fossero solo un sogno, Marco non aveva dato segno di percepirlo.
Credeva che nessuno ne sarebbe stato in grado. Lei era speciale? Oppure era suo fratello a non accorgersi di nulla?
Le possibilità erano molteplici, e avevano le stesse eventuali percentuali di probabilità.
Natalia allungò la mano candida nella sua direzione.
-C’è qualcuno? – ripeté, questa volta risoluta e senza paura, gli occhi viola che splendevano sotto la luna.
Alessandro desiderava tanto sfiorarla, ma non aveva il coraggio di toccarla di nuovo, di vedere altre immagini strane, di risentire quell’angoscia.
-Sei tu, Alice? Sei tu? –
Chiese, con le labbra esangui che tremavano.
Ecco perché non aveva paura! Sperava che quella presenza appartenesse alla misteriosa ragazza che l’aveva abbandonata.
Non poteva restare, o l’avrebbe illusa.
Era puro spirito, e non aveva un cuore, perciò non aveva senso sentirlo battere. Eppure riusciva a sentirlo pulsare, ed era un suono così forte che temeva lei potesse quasi udirlo.
Del resto era già riuscita a percepire la sua presenza, chi poteva dire cosa riusciva a sentire?
Ritirò la mano, e con forza si allontanò da lei. Natalia si portò una mano al petto. L’ombra dietro di lei divenne più grande.
Alessandro, dietro di lei, non sapeva cosa fare.