"Dio di illusioni" è il primo romanzo della scrittrice statunitense Donna Tartt, autrice che ha vinto il premio Pulitzer con il romanzo "Il cardellino".
Il titolo in lingua originale è "The secret history" ma la primissima versione del titolo era "Il dio delle illusioni", versione scelta per la traduzione italiana, che personalmente ritengo più suggestiva.
Il protagonista Richard Papen, un giovane di vent'anni, dopo scelte universitarie poco adatte alle proprie inclinazioni si iscrive all'Hampden College, nel Vermont, che gli sembra un'ottima scuola con interessanti indirizzi letterari.
Avendo studiato per un due anni il greco, lingua che lo affascina e in cui è anche molto bravo, vorrebbe continuare a studiarlo. Quando esprime tale desiderio al rettore, però, questi lo mette in guardia: Julian Morrow, l'unico professore che tiene quel corso, è un tipo eccentrico che non rispetta le regole accademiche, e accetta pochissimi studenti. Al momento, infatti, le sue lezioni contano solo cinque persone, e se Richard vuole aggregarsi a loro deve incontrare il professore di persona e fargliene esplicita richiesta. Tuttavia, ad una prima occhiata, il professore non lo accetta, probabilmente influenzato negativamente dai suoi abiti umili. Richard infatti è povero, e gli studenti del professor Morrow sono tutti facoltosi.
Affascinato, Richard osserva più volte da lontano il piccolo gruppo - quattro ragazzi e una ragazza - che ai suoi occhi sembrano una élite privilegiata, a cui sogna aggregarsi.
Un pomeriggio, dopo aver chiesto un prestito al rettore per un guasto all'auto che non possiede, usa il denaro per comprare vestiti costosi.
Si ripresenta dunque dal professore il quale, impressionato dal suo aspetto, questa volta si mostra improvvisamente benevolo nei suoi confronti, e disposto a concedergli un colloquio. Richard inventa una realtà familiare benestante e il professore, dopo aver parlato con lui, lo ammette al suo prestigioso corso, spiegandogli che lo avrà come insegnante anche in quasi tutti gli altri corsi.
Il ragazzo è inizialmente insospettito da questa richiesta e vorrebbe quasi tornare sui suoi passi. Ma l'idea di poter finalmente conoscere i ragazzi che tanto ammira, prospettiva che prima gli sembrava irraggiungibile, lo induce ad accettare le sue strane richieste.
I cinque ragazzi che frequentano il corso di greco sembrano subito accoglierlo nel loro piccolo circolo, dando a Richard la vertiginosa sensazione di essere un privilegiato. Henry, il leader del gruppo, lo fa sentire stimato e ben accetto. Julian, Bunny e Charles sono sempre affabili e gentili e la bella Camilla, sorella di Charles, riesce a conquistarlo al primo sguardo.
Una comitiva in apparenza perfetta, un gruppo compatto di ragazzi spaventosamente colti e dannatamente ricchi, amici fedeli uniti da una salda amicizia. Ma col tempo si scoprono relazioni ingarbugliate e complesse, segrete perversioni, ossessioni e relazioni sbagliate, che galleggiano a fatica in un'inaspettata disomogeneità. Richard si troverà senza volerlo coinvolto in un crimine terribile, e il suo destino sarà indissolubilmente legato ai cinque misteriosi studenti del corso di greco.
Ero legato a loro, a tutti loro, in modo definitivo.
Dopo aver appreso che i compagni hanno commesso, senza volerlo, un omicidio, Richard non fa che domandare loro "Che farete?"
«Che farete?» chiesi. Era la sola domanda che avevo posto loro nelle ultime ventiquattr’ore, e nessuno ancora mi aveva dato una risposta soddisfacente.
Domanda che chiaramente anela a trasformarsi in un più ampio "Che faremo?", un'ipotesi che includa anche lui: non si cura di quanto possa essere cupo lo scenario. L'importante è essere più di una sagoma sullo sfondo di questo tremendo dramma teatrale, condividere con i compagni, eroi tragici da romanzo ottocentesco, ogni momento, anche il più terribile.
Come si evolverà la storia? I protagonisti troveranno la redenzione o le loro vite sono irreverisibilmente corrotte?
Lungi dall'essere un thriller - l'omicidio viene svelato nel prologo, quindi non c'è alcun mistero da svelare e nessun ignoto killer che si muove nell'ombra - il romanzo si concentra sull'aspetto psicologico dei protagonisti e sul loro personale rapporto con il lato oscuro del mondo e di sé stessi.
L'autrice, in un'intervista, ha dichiarato di aver costruito la tensione del romanzo basandosi sulla definizione di "suspense" di Hitchcock: nelle prime righe narra l'accaduto al lettore, che in questo modo si sente maggiormente coinvolto nel racconto poiché sa più dei protagonisti, e la sua curiosità risiede dunque nel domandarsi come si comporteranno i personaggi e cosa nascondono l'uno all'altro.
Richard, con una narrazione in prima persona retrospettiva - racconta l'intera storia molti anni dopo l'accaduto, con la sincerità di una confessione - analizza e sviscera le proprie azioni passate, intessendo una tela complessa di bugie e giustificazioni in perfetto stile sveviano, che soltanto nella seconda parte del romanzo vengono violentemente spazzate via, per lasciare spazio alla brutale realtà.
Richard descrive tutte le fasi della sua follia: la fascinazione, il coinvolgimento e solo infine l'allontanamento da un ambiente che comprende essere malato e dannoso.
Racconta dal proprio punto di vista i comportamenti di tutti i compagni - particolarmente conquistato dalla personalità di Henry - svelandone gli inganni poco a poco dinanzi al lettore.
Henry Winter è il personaggio più cupo e contemporaneamente anche il più attraente. È il più ricco ed è il pupillo del professore Julian. Ha folti capelli neri e i profondi, enigmatici occhi azzurri, un'altezza considerevole e un fisico aggraziato ma possente.
Buffo, ma la gente non si accorgeva mai alla prima occhiata di quanto grosso fosse Henry. Forse a causa dei suoi vestiti, che somigliavano a uno di quei goffi ma stranamente impenetrabili travestimenti di un fumetto (perché mai nessuno riconosceva che il topo di biblioteca Clark Kent altri non era, senza occhiali, che Superman?); o forse per come si mostrava alla gente. Possedeva infatti lo straordinario talento di rendersi invisibile – in una stanza, in un’auto, una capacità di smaterializzarsi a comando – e forse tale dono era solo l’inverso dell’altro: l’improvviso riconcentrarsi delle sue sparse molecole gli restituiva la forma solida tutto di un colpo, con una metamorfosi che sorprendeva gli astanti.
È molto affascinante, e il suo aspetto possiede "la grazia studiata della tigre", specchio del suo carattere.
Per la prima volta, da un po’ di tempo a questa parte, notai che bell’aspetto avesse, e quanto i suoi modi rigidi e tristi si fossero trasformati in altri più naturali e rilassati. Non avevo mai pensato a Henry come a un bel ragazzo – anzi, avevo sempre ritenuto che solo la compostezza dell’atteggiamento lo salvasse dalla mediocrità, riguardo all’aspetto fisico –, ma ora, meno austero e contenuto nei movimenti, possedeva una sicura grazia da tigre, sorprendente per agilità e disinvoltura.
Sempre elegante ma intimidatorio quando lo desidera, possiede un'autostima che sfocia nell'autocelebrazione, riuscendo, grazie alla sua sicumera, ad esercitare sui compagni un fascino irresistibile suscitando in loro un forte senso di sudditanza.
Ha un temperamente gelido e non perde mai il suo sdegnoso contegno, a cui si richiama anche il cognome, scelta per nulla casuale.
È il più colto, eppure il suo sapere è estremamente disorganizzato, manifestazione del suo disordine mentale. Non studia ciò che non lo interessa, tanto da non aver neanche concluso le superiori. Infatti, nonostante il suo talento, è improbabile che riesca ad avere un effettivo successo in qualche campo.
Anche quando palesa i propri intenti più turpi, esercita sui compagni il fascino terribile di una cometa nera, luce buia che guida gli altri con sé verso l'abisso.
Henry, che può a buon titolo essere definito il manipolatore del gruppo, è a sua volta manipolato dal professor Julian Morrows, uomo dal fascino dannunziano. Egli è l'unica persona nei cui confronti Henry provi un sincero affetto, sentimento che sfocia in un'insana venerazione. Il professore ne è perfettamente consapevole, e sfrutta con compiacimento il proprio ascendente.
Egli riflette il volto di chi gli sta dinanzi, creando un’illusione di profondità e calore quando in realtà è rigido e superficiale come uno specchio.
Edmund, detto Bunny, soprannome che sottolinea la sua innocenza ed è immagine della sua identità in quanto preda di cacciatori spietati, è un ragazzo semplice, persino un po' volgare. Il protagonista narratore non manca, più volte, di sottolinearne l'ignoranza e la dabbenaggine.
Bunny, con tutta la sua apparenza di amabile, incallita stabilità, aveva invece un carattere imprevedibile. E ciò per svariate ragioni, principalmente per la sua completa incapacità di pensare prima di agire. Si fiondava nella vita guidato solo dalla fioca luce dell’impulso e dell’abitudine, fiducioso che il suo corso non sarebbe stato interrotto da ostacoli troppo grandi da non poter essere atterrati dalla bruta forza d’inerzia.
In confronto con gli altri ragazzi del gruppo gli appare inizialmente banale e sciatto anche se, nella sua rozzezza, riesce a cogliere la verità e l'abiezione dietro le maschere scintillanti di ciascuno dei protagonisti.
"Non chiamare le cose con altri nomi" scriveva Stefano Benni, in "Margherita dolcevita".
Edmund chiama i suoi compagni con i nomi dei loro stessi vizi, svelandone le ipocrisie. Essi non tollerano di guardarsi nei suoi occhi e vedersi per ciò che sono realmente, preferiscono la fiaba di bugie che hanno inventato per sé. Lo smontare di questa menzogna in cui amano vivere diventa la vera ragione per cui gli altri desiderano il suo annientamento.
Francis, un ragazzo che non nasconde la sua omosessualità, è forse il personaggio più sincero del gruppo, ma anche lui si lascia incatenare nel groviglio di illusioni e bugie, diventando dipendente dall'amore di Charles, il quale invece lo sfrutta solo quando ne ha voglia.
I gemelli Charles e Camilla, bellissimi e affascinanti, hanno un rapporto insano, in bilico fra l'amore ed il conflitto. Non sono sinceri neppure fra di loro.
Questo intreccio di personaggi, con l'aspetto di maschere da tragedia, discutono di argomenti fuori dal tempo. Ossessionati dal mondo ellenistico, anelano a vivere una realtà che recuperi quello stile di vita, diventano sempre più alienati e maturano idee e convinzioni sempre più folli.
"La bellezza è terrore", sostiene più volte Henry, avallato dal professor Morrows.
«La morte è la madre della bellezza» disse Henry.
«E cos’è la bellezza?»
«Terrore.»
«Ben detto!» esclamò Julian. «La bellezza è raramente dolce o consolatoria. Quasi l’opposto. La vera bellezza è sempre un po’ inquietante.»
In realtà Richard si renderà conto che ciò che Henry definisce bellezza è il fascino adrenalico del male, quel brivido in grado di provocare un singulto nella sua esistenza piatta da ragazzo ricco e viziato che, trascurato dai genitori, vive con la sola compagnia del denaro, costantemente anestetizzato da alcool, droghe e fumo.
Esso diventa motore di una scintilla di azione che va ad interrompere un'esistenza ripetitiva e monotona, ammanta tutto di una luce entusiasmante, come se gli orrori commessi non fossero altro che una bravata goliardica, un grande gioco.
Un po' come Ged in Terramare, i cinque ragazzi hanno risvegliato l'ombra, e si renderanno conto del loro atto terrificante solo molte settimane dopo il delitto.
Alcune cose sono troppo terribili per entrare a far parte di noi al primo impatto; altre contengono una tale carica di orrore che mai entreranno dentro di noi. Solamente più tardi, nella solitudine, nella memoria, giunge la comprensione: quando le ceneri sono fredde, la gente in lutto è andata via; quando ci si guarda intorno e ci si ritrova in un mondo completamente diverso.
La differenza tra bellezza e fascino del vuoto non è distinta: si vede bene soltanto da una certa distanza - come Richard che esamina i fatti dopo molti anni - ma se la si osserva da vicino, o peggio, dall'interno, è molto difficile capirne la differenza.
«Non c’è nulla di sbagliato nell’amore per la Bellezza; ma la Bellezza – se non è sposata a qualcosa di più profondo – è sempre superficiale.》
Dopo aver chiuso il libro, quali sentimenti prevalgono nella mente del lettore, nei confronti di personaggi così complessi e ombrosi? In particolare, cosa provare nei confronti di Henry, figura più enigmatica ed importante dell'intero romanzo? Quale complessa psicologia cela dentro di lui? Freddo manipolatore privo di sentimenti oppure vittima di sé stesso e della sua arroganza?
Cosa provare per Henry, odio o pietà? E' una domanda che mi sono posta sin dalle prime pagine e a cui trovo ancora, a lettura ultimata, estremamente difficile rispondere.
Il romanzo, che non manca di condannare le azioni dei protagonisti, impedisce infatti di esprimere un giudizio su ciascuno di loro, mostrando una realtà troppo complessa per essere incesellata e definita in qualche modo.
Questa storia estremamente intensa mi ha spiazzata. Però se un libro ti spiazza - e ti spezza - penso sia da considerare un buon libro. Un ottimo libro. Un libro indimenticabile.
Dio di illusioni per molti versi potrebbe essere considerato brutale, ma ritengo che "triste" sia un termine più adatto per una definizione: il ritratto disincantato di una gioventù che brucia le opportunità, fragile e disorientata, troppo spesso vittima di false illusioni, tanto corrotta e anestetizzata dal consumismo e dal desiderio di eccessi da essere incapace di riconoscere la giusta stella da seguire.