"Non immaginava l’amore, Eloisa. Non lo nominò, come se privandolo della parola, esautorandolo di significato, potesse debellarlo dalla propria carne, dalla mente, da se stessa. Lo ignorava, come con una malattia, che avviluppa il corpo, lo debilita, ma non si accetta per non ammettere di essere condannati."
"Storia di un amore" è una scrittura in chiave narrativa della storia d'amore più triste di tutti i tempi. Un libro introspettivo, doloroso, crudele. Intenso.
Quella di Abelardo ed Eloisa- studentessa e maestro che intrecciarono una relazione passionale e proibita, nella Francia del 1100 circa - è stata spesso descritta come una storia d'amore intensa e bellissima, una delle più appassionanti di tutti i tempi.
Forse anche la trasposizione cinematografica -"Stealing Heaven", che ci mostra i due protagonisti ancora innamorati in età avanzata - ha contribuito a rafforzare l'interpretazione romantica della vicenda.
Tuttavia, leggendo attentamente le lunghe lettere che i due amanti si scambiarono, la loro unione appare molto diversa da una storia di autentico amore.
Manuela Raffa offre dunque ai lettori un'analisi lucida della loro famosa storia.
Lui, brillante filosofo francese, scelto da Fulberto per educare la nipote adolescente Eloisa, si invaghì della ragazza e, consapevole fin da subito dell'ascendente che esercitava su di lei, la sedusse intenzionalmente, e senza difficoltà.
Eloisa, erudita ma assolutamente inesperta del mondo, appena adolescente, fu dunque manipolata da un uomo molto più vecchio di lei, che tutti credevano meraviglioso- che lei stessa reputava tale - rimanendo vittima del suo fascino, del suo abuso psicologico: una violenza inflitta sulla sua mente ingenua, sul suo corpo giovane, e infine al suo cuore vergine.
I rapporti a cui la induceva Abelardo erano talvolta persino violenti, e lui, per sua stessa ammissione, arrivava a percuoterla e a pretenderla anche quando lei non voleva.
Abelardo dava alla sua passione irrefrenabile il nome di amore, e così ingannava Eloisa, che faceva ogni cosa per lui, ogni sacrificio, convinta di essere ricambiata, e sicura che lui l'avrebbe maggiormente amata quanto più lo avesse accontentato e soddisfatto in ogni suo desiderio, anche il più turpe.
Probabilmente Eloisa, orfana che non aveva mai conosciuto alcun tipo di figura genitoriale, vedeva in Abelardo non solo un compagno, un amante, ma primariamente una figura adulta da compiacere e che, in cambio di quel compiacimento, le avrebbe fornito accudimento e tenerezza.
Un accudimento che si rivelava saltuario, altalenante, insicuro. Fin quando lo zio di Eloisa, Fulberto, scoprendo la relazione segreta tra i due, scacciò l'illustre maestro da casa sua. Quando scoprì che la giovane era, prevedibilmente, rimasta incinta, gli ordinò di sposarla per riparare alla terribile offesa.
Eloisa però non voleva sposarlo, perché sapeva che Abelardo lo avrebbe fatto solo per accontentare Fulberto e che in realtà non desiderava una moglie, che avrebbe danneggiato la sua immagine e posto potenzialmente un freno alla sua carriera.
Se fosse stato costretto a sposarla, lui l'avrebbe odiata e lei lo avrebbe perso per sempre. Ad Eloisa non importava di essere considerata una svergognata, e non si sentiva colpevole di nulla: nella sua visione delle cose, semplicemente agiva per amore.
Abelardo, invece, che ragionava soltanto con il suo egoismo, voleva banalmente esercitare il proprio possesso sulla giovane.
Dopo una rocambolesca serie di avvenimenti sempre più oscuri Fulberto, convinto che Abelardo avesse vigliaccamente abbandonato sua nipote, fece evirare Abelardo, esponendolo alla pubblica vergogna e sottraendogli per sempre la dignità e lo strumento con cui aveva offeso la sua Eloisa.
Eloisa, pur affranta, era comunque innamorata e disposta a stare con lui anche in quella triste condizione. Ma fu Abelardo che a quel punto, ormai privo dei desideri carnali, abbandonò Eloisa.
Non solo: gelosissimo all'idea che lei potesse essere stretta e amata da un altro uomo, le diede ordine di prendere i voti ed entrare in convento. Scelta che lei abbracciò non per vocazione, ma per farlo felice, ancora una volta.
Dopo questo gesto, Abelardo rivide pochissime volte Eloisa, lasciandola sola senza mostrare alcun dispiacere e, come si evinceva dalle lettere, abbandonandola al dolore e alla solitudine.
Se lui era stato mutilato nel corpo, la stessa cosa non era accaduta a Eloisa che, tormentata dal ricordo dei passati piaceri, soffriva molto nel sacrificare la sua gioventù abbracciando una vita consacrata che non desiderava.
L'unico suo desiderio era l'amore di Abelardo, che lui le nagava e che, addirittura, nelle lettere che di rado le scriveva, riduceva il suo sentimento ad un peccaminoso desiderio e nulla più, dichiarando palesemente di non averla mai davvero amata come compagna di vita.
Ecco, infatti, alcuni passi tratti dalle lettere di Abelardo:
"L'amore che ci trascinava al peccato, era attrazione fisica, non amore. Con te io soddisfavo le mie voglie, e questo era quello che amavo di te. Quella che tu chiami memoria d'amore non è altro che memoria del peccato. Ti prego, dimentica il passato, come ho fatto io.
Non ho mai cercato altro in te che il piacere. Se sono stato chiamato da tutti il primo dei filosofi, non è stato l'amore di Dio né il desiderio della virtù a condurmi a te, ma solo la passione dei sensi."
Impossibile non immaginare la fitta al cuore che deve aver provato Eloisa alla lettura di queste paroli atroci e crudeli, che la riducevano ad un oggetto: lei, che gli aveva offerto la sua anima, lei che con fiducia gli aveva permesso di metterle le mani nella testa, di spostare tutto, di comporre nuove forme e figure a suo piacimento.
Abelardo quindi ha amato veramente Eloisa? L'ha amata, ma come un drago ama il suo oro, come un ricco ama il suo denaro. La amava, purché fosse la sua ombra, purché fosse seconda a lui, la amava finché aveva bisogno di lei per soddisfare il suo ego, il suo complesso di Pigmalione e soprattutto i suoi piaceri.
Eloisa comprese tardi l'egoismo di Abelardo, rimanendo legata a lui per tutta la vita, in bilico tra amore, rancore e delusione.
Abelardo illuse Eloisa offrendole da bere il più dolce dei veleni: la seducente speranza. E non finì bene. Per nessuno.
"[Eloisa] era spaventata. Come se si fosse avvicinata a un fuoco: traeva beneficio dal calore, che la inebriava, la scaldava, ma temeva di bruciarsi. Qual era la giusta distanza da tenere? La sua storia non era destinata a un futuro roseo. Pietro non era libero. La strada che aveva scelto per sé comportava la solitudine."
La lettura del libro, in un crescendo di orribili avvenimenti che fa avvertire al lettore il dolore della protagonista tanto intensamente come se fossi egli stesso a viverlo, induce una domanda: oggi questa storia ha qualcosa da insegnare?
Sicuramente. Ogni vita può dare un insegnamento.
E forse quello che lascia Eloisa è di fare attenzione al proprio cuore, alla propria anima. E di dare sempre priorità alla propria libertà.
"Come mi confondevi, con i tuoi umori altalenanti, i tuoi momenti di tenerezza o di freddezza. Provavo a seguirti, a interpretarli, ma era impossibile. Sbagliavo sempre. Se mi allontanavo, non mi lasciavi andare. No. A quel punto, tornavo importante, bellissima, una tua priorità. Poi tutto ricominciava, nel logorio dei tuoi umori.
E io ho lasciato che tu mi distruggessi.
Ti ho amato, quanto ti ho amato. Con la forza della gioventù, dell’ammirazione, con ogni angolo della mia mente e del mio corpo. Eri un maestro brillante, le tue argomentazioni brecciarono il mio cuore come pietre scagliate da una catapulta. Erano innovative, brillanti, argute. Incontravano il mio gusto, che si adeguò al tuo e fiorì sul sentiero che avevi tracciato. Pensare, non fermarsi al senso letterale. Andare oltre l’insegnamento ricevuto in passato e calare ogni argomento nella realtà.
Hai inebriato il mio spirito, poi ti sei spinto fino al mio cuore.
Non volevo questa vita.
Mi hai piegata con gli argomenti dell’amore. E poi li hai accantonati, come se fossero inutili.
In fondo, lo erano, ormai."
Una storia, dunque, quanto mai attuale, attualissima, in quest'epoca tristemente dilaniata dal sangue di tante donne che, per accontentare gli umori di piccoli uomini come Abelardo, si annullano, si riducono, si annientano. Si lasciano distruggere.
Voglio concludere questo articolo con il frammento di una delle lettere di Eloisa che - seppur sola, abbandonata - non si mostrò sconfitta, e con coraggio scrisse chiaramente quel che pensava, inchiodando Abelardo alle sue colpe e riconoscendosi - come avrebbe scritto diversi secoli dopo Emily Dickinson, che si accusava di "aver tenuto oggettini placcati sulla mensola dell'argenteria" - un'unica grande responsabilità: quella di essersi fidata di lui, di essersi accontentata di un ruolo marginale, di aver dato troppo, aver preteso troppo poco, aver accettato un amore senza parità.
Una donna come lei, una mente come la sua, che avrebbe avuto ogni diritto di pretendere un amore che la rispettasse, che la accettasse in tutta la sua totalità, che l'aiutasse a crescere, che non volesse soffocarla.
"Sarò costretta a dire io quello che penso, o meglio quello che ormai tutti sospettano: i sensi e non l’affetto ti hanno legato a me; la tua era attrazione fisica e non amore, e, quando il desiderio si è spento, con esso sono scomparse anche tutte le manifestazioni di affetto con cui cercavi di mascherare le tue vere intenzioni. [...]
Tu sei stato crudele nel trascurarmi, ma io sono stata più crudele con me stessa, perché mi sono abbandonata completamente a te. Ora l'amore è stato sconfitto dalla ragione, ma il mio cuore non può dimenticare ciò che ha sofferto per te."
Eloisa si lasciò soffocare da Abelardo. Oggi, tanti secoli dopo, memori di Eloisa, noi donne abbiamo il dovere morale di non ripetere il suo destino: perché il suo dolore non sia stato vano, perché nessuna donna conceda mai più ad alcun uomo un così grande potere sulla sua persona, sulla sua mente, sulla sua vita.
Che possano essere messi all'angolo tutti gli "Abelardo" del mondo, mostruosi nel loro perbenismo e nelle loro autogiustificazioni: che nessuna donna permetta a nessuno, mai più, di trattarla come Abelardo ha trattato Eloisa.
Nessun commento:
Posta un commento