martedì 18 marzo 2025

"Un amore" di Dino Buzzati



Antonio Dorigo, mediocre borghese corrotto e vizioso, è il protagonista del romanzo "Un amore" di Dino Buzzati.

Un testo che si presenta provocatorio fin dal titolo visto che, nell'opera, di puramente romantico non si ravvisa assolutamente nulla.
Un sentimento è presente, prepotente, ma non è l'amore: bensì l'ossessione che un uomo solo e dedito unicamente a sé stesso matura nei confronti di una spregiudicata prostituta minorenne.
La realizzazione dell'infatuazione, della malattia terribile dell'innamoramento, quello senza scampo, quello divorante, dilaniante, terribile, tormenta Dorigo come una maledizione.
L'innamoramento è una fiamma per lui sconosciuta e confusa, minacciosa, un vortice che assorbe tutto, riducendo ogni aspetto della sua esistenza a puro sfondo.
L'unica figura a colori è lei, Laide, la giovanissima prostituta: per via della differenza di età e di ceto sociale, Dorigo la vede inarrivabile, irraggiungibile. Eppure, non riesce comunque a distaccarsi da quella fanciulla maliziosa e piena di vita, aggrappandosi ai pochi momenti che, a pagamento, lei gli concede.
Per la prima volta nella sua vita, non desidera possedere carnalmente una donna: vorrebbe entrare nel suo mondo, essere un personaggio e non solo un comprimario nel libro della sua vita, e pur di illudersi di avere un ruolo nelle sue giornate accetta le richieste più assurde e più meschine di lei.
Dorigo, che da carnefice, perfetto consumatore della prostituzione, diventa vittima dei capricci di una ragazzina dedita solo al denaro, non è meno volgare di lei, figura ugualmente negativa, ma vittima di un sistema che non ostacola e anzi favorisce lo sfruttamento.
In uno scambio costante di ruoli che li vede entrambi predatori e prede di un mondo consumistico e vuoto, privo di valori, Dino Buzzati dipinge con la sua prosa ipotattica sempre ricca e suggestiva l'affresco di un'umanità patetica e marcia ma che continua ad essere ingannata dalle illusioni meravigliose dell'amore, lusinghe capaci di condurre un uomo o una donna apparentemente sapienti e di animo saldo al ridicolo, all'umiliazione, alla vergogna, alle lacrime.

Però, appunto, infine queste amorose lusinghe si rivelano per quel che sono: le illusioni fragilissime di un istante, che poi rigettano l'uomo nell'abisso del suo niente, un abisso che- dopo la luce che egli aveva creduto di vedere- appare ancora più vuoto, ancora più buio.

Come ne "Il deserto dei Tartari" anche in "Un amore" il sentimento a cui allude il titolo è oggetto dell'attesa spasmodica e dolorosa dei personaggi, e dunque dell'umanità intera. Ma, proprio come il fantomatico esercito dei Tartari, neppure l'amore giungerà mai, con la sua salvifica potenza, a portare felicità nelle misere esistenze terrene.

E dunque, che conclusione trarre da questo romanzo che descrive con precisione chirurgica il ridicolo morbo dell'amore, che non risparmia nessuno e che è capace di condurre alla follia, di indurre alla rovina?
Se ne deduce che - secondo la condivisibile opinione dell'autore - il mondo non è che una burla priva di senso. Solo la natura, con la sua impassibile calma, con la sua pace, con la sua immobilità, è depositaria della verità: lontana dalle passioni umane, serena, benedetta dalla stasi, fuori dal tempo. 

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