giovedì 16 luglio 2020

Capitolo 5 ~ Dreamless boy



Finalmente era di nuovo notte. 
Alessandro l’aveva attesa con l’impazienza di un bambino che attende il permesso di giocare con un giocattolo nuovo. 
Era ansioso di scoprire se i suoi poteri si fossero manifestati anche quella notte. 
Si distese fra e coperte. Era consapevole di doversi addormentare, ma per l’ansia il sonno sembrava sfuggirgli. 
Finalmente si sentì avvolgere da un calore tenebroso, e quando aprì gli occhi era solo puro spirito, al centro della stanza, ad osservare il proprio corpo che riposava con espressione tranquilla. 
Era successo ancora. 
Dunque era vero, era tutto vero! 
Si guardò attorno. La stanza aveva assunto un aspetto lugubre. Le ombre danzavano e sussurravano, proprio come la prima volta. Ma Alessandro non aveva paura. Quella visione del mondo lo rassicurava, come un velo di tenebra caldo e protettivo. Svelto, varcò la soglia della propria stanza e cominciò a vagare nei corridoi come uno spettro. Cercava il gatto. Aveva molte domande da porgli, ed era curioso di sentirlo parlare anche stavolta. 
Però non lo trovò da nessuna parte. Dopo aver vagato nella casa per un po’, si rese conto che doveva essere uscito. 


Decise che questa volta non sarebbe rimasto a camminare in casa sua, ad osservare i fumi colorati delle emozioni dei suoi genitori, di suo fratello o emessi dal proprio stesso corpo. Voleva uscire. Andare fuori. 
Si avvicinò alla porta di casa, e la varcò come se non ci fosse. 
Invece la porta c’era. Era lui, quello che non c’era. 
In un attimo si ritrovò dall’altra parte, fuori. 
Sicuramente faceva freddo: era una notte d’autunno, la temperatura a quell’ora avrebbe dovuto come minimo farlo rabbrividire, nel suo sottile pigiama. Ma Alessandro non percepiva il gelo. Non percepiva nulla, perché non era presente con il suo corpo, soltanto con lo spirito, e gli spiriti erano indifferenti alle temperature. 
Scese i gradini che dalla porta della sua casa portavano al cancello, poi attraversò anche quello constatando con quanta rapidità e facilità oltrepassava ogni ostacolo. 
Si compiaceva delle sue capacità. Sembrava un sogno, e la sera precedente aveva pensato proprio che lo fosse. Ma ora era sempre più sicuro che fosse reale. 
Si trovò in strada. Tutto era silenzioso. La notte era interrotta solo dalle luci acquose di lampioni gialli e stanchi. 
Il mondo, di notte, sembrava immobile. Dalle finestre delle case fuoriuscivano fumi di vari colori, che si innalzavano nel cielo spinte dal vento. Sembravano nuvole color arcobaleno. 
Il ragazzo sorrise. Era proprio come aveva pensato. Evidentemente quel mondo esisteva anche di giorno, ma solo di notte gli era concesso vederlo. 
Era strano che proprio lui fosse capace di edere qualcosa di tanto speciale. Perché? Non ne aveva idea. Tutto ciò che pensava, guardando quella strada deserta davanti a sé, era “libertà”. Ora era libero.
Quante volte aveva trascorso la notte insonne a guardare fuori dalla finestra le case buie e le strade deserte, impazzendo dal desiderio di correre la fuori e poter andare ovunque desiderasse, senza limiti? 
Si rese conto di aver atteso tutta la vita quel genere di libertà, e di non aver mai davvero sperato di ottenerla davvero, un giorno. 
I suoi pensieri furono interrotti da una musica lugubre e triste. Era come un grido, ma non il grido di un essere umano. Era un urlo sonoro, musicale, come il lamento di un’armonica insieme al pianto di un violino stonato, e allo stridore di un pianoforte rotto. 
Qualcosa, in quella musica, lo respingeva. 
E fu proprio per questo che il ragazzo, invece, desiderò conoscerne l’origine. 
Continuò a camminare lungo la strada, finché non arrivò lì dove la buia musica era più forte. 
Proveniva da un edificio circondato da un’aura nera molto estesa. Sembrava una nuvola di petrolio. I contorni non erano immobili, si muovevano come tentacoli, sembravano tentare disperatamente di acciuffare le stelle, per spegnerle. 
Era qualcosa di terribile da guardare, soprattutto immaginando la proporzione del dolore che poteva generare quella cosa. 
Alessandro si sentiva soddisfatto. Aveva avuto un’intuizione esatta, quel pomeriggio. Anche senza vederla, aveva percepito la presenza dell’aura nera. 
Cominciava a capire la logica dei suoi poteri. Per quanto andassero contro ogni logica, iniziava a comprendere il funzionamento delle sue nuove capacità. 
Si avvicinò alla tenebra, provò ad inserirvi una mano: ci riuscì. 
Quella cosa si poteva oltrepassare.
E Alessandro la oltrepassò, leggero, come se fosse fatto di niente. 
Si ritrovò in una casa. Seguì la strada di tenebra, salì le scale. Intorno a lui, le ombre sussurravano e lo indicavano. Il ragazzo si ritrovò dinanzi ad una porta chiusa. 
Ormai gli era chiaro che le porte non fossero un ostacolo, per lui, perciò era sicuro di poterla attraversare senza problemi. Ma, per la prima volta da quando possedeva quei poteri, lo travolse un senso di disagio devastante. 
Dall’altra parte della porta c’era qualcosa – o, più probabilmente qualcuno – che emanava quell’aura terribile e angosciante, quell’intensa energia oscura. 
Di chi o cosa poteva trattarsi? Doveva averne paura? 
Nulla musica, iniziò a distinguere delle voci. Sussurrate, pronunciate con voce bassissima, e confuse, come se tante bambine si confidassero segreti l’un l’altra, contemporaneamente. 
Toccava a me, non a lei.
Dove sei? 
Perché non mi credete? 
Sei pazza!
Tutti lo dicono! 
Non lo sono! Non lo sono! Non lo sono! 
L’ultima voce era urlata, come se ci fosse qualcuno all’interno della stanza che correva gridando quelle frasi. 
Alessandro decise di entrare. Chiuse gli occhi, si fece coraggio. Ed oltrepassò la porta. 
Si ritrovò in una piccola stanza alquanto spoglia. La luce della luna attraversava il vetro del balcone e illuminava la stanza permettendo ai suoi occhi, ormai abituati al buio, di scorgere con sufficiente nitidezza gli oggetti. 
Una scrivania, una sedia, alcuni scatoloni, un comodino, un letto. 
Il ragazzo non ebbe difficoltà a scoprire che l’energia nera proveniva dal letto, o meglio, dalla persona che vi dormiva.
Alessandro si avvicinò. Era una ragazza. Le ombre la circondavano come petali di un fiore nero ed oscillavano nell’aria tutt’intorno a lei. A tratti, quell’ombra sembrava viva, come un demone informe che non vuole abbandonare la propria preda e le vaga attorno, vegliandola giorno e notte. 
La ragazza era la stessa che aveva visto dietro la finestra, quel pomeriggio, immobile come se fosse stata finta, la stessa ragazza che non aveva risposto al suo saluto. 
Dalla strada non l’aveva potuta osservare bene, vista la distanza. Ma ora che ce l’aveva a pochi centimetri dagli occhi, il viso illuminava dalla luce lunare, poteva osservarne i lineamenti. 
Aveva un volto delicato e ovale, la sua pelle sembrava molto chiara, così come i lunghi capelli che le scivolavano sulle spalle. La luna li faceva risplendere come fili d’argento, ma Alessandro, a causa della scarsa luce, non riusciva a distinguerne il vero colore. Ogni cosa sembrava blu e argento. 
Naturalmente la ragazza dormiva, aveva gli occhi chiusi, e il ragazzo poté ammirare le sue lunghissime ciglia. 
La sua espressione era severa, le labbra tese e le sopracciglia leggermente corrucciate. 
Spinto da un impulso irrefrenabile, Alessandro tese una mano per sfiorarle una guancia. Molto probabilmente le sue dita avrebbero attraversato la sua pelle, lo sapeva, ma voleva provarci ugualmente. 
Avvicinò la mano a lei e i petali dall’ombra che circondavano la ragazza si misero in allarme. Il loro contorcersi si fece frenetico, e quelle strane forme scure si frapposero fra la mano di Alessandro e la ragazza. 
La sua mano sfiorò l’ombra nera ed udì nuovamente le voci, più forti e arrabbiate. 
Vattene! 
Andate via! 
Lasciatemi in pace! 
Via! Via! Via! 
Come scottato, Alessandro ritrasse la mano, e smise di udire le voci. Mentre le udiva, gli era sembrato di non riuscire a respirare, e non voleva udirle ancora, così arretrò. 
Ma le ombre lo seguivano, e lo costrinsero ad arretrare, ad uscire dalla stanza, a scendere le scale, a lasciare quella casa. 
Si ritrovò nel giardino, ampio e ricco di piante, con una grande altalena in ferro battuto nel mezzo. Intorno a sé, udiva tante voci sussurrate, sembravano le piccole voci delle piante. 
Chi è? 
Non lo sappiamo.
Cosa ci fa qui? 
Vuole farci del male? 
Ci strapperà le foglie?
Nel giardino, le ombre scure erano di meno. Solo alcune nuvolette scure, che oscillavano tranquille nell’aria, fra le piante. 
Sembravano meno arrabbiate dell’ombra che lo aveva respinto, così Alessandro si fece coraggio e le sfiorò. 
Questa volta non udì voci arrabbiate, ma un pianto sommesso, triste. 
E una frase ripetuta, come una preghiera.
Io ti sto aspettando. 
La voce era femminile, dolce. Poteva appartenere alla ragazza? Angosciato, diede un ultimo sguardo alla grande casa e decise di lasciare quel luogo. Tornò a camminare nella strada deserta, illuminata dalla luce dei lampioni, e scivolò dentro casa. 
Nell’aria volteggiavano scie di colore blu. Udì la voce di suo padre, che proponeva alla moglie di brindare perché aveva avuto una promozione al lavoro. 
La scia viola, invece, era più triste. 
Tutti i miei fiori sono appassiti! Gemeva. I miei bei fiori… 
Quella era la voce di sua madre. 
Alessandro seguì le scie, e vide che i suoi genitori giacevano nel letto, addormentati. Stavano sognando. 
Pensieroso, il ragazzo si diresse verso il soggiorno, iniziando a camminare avanti e indietro, come faceva sempre quando era tormentato da qualche pensiero. 
Doveva mettere insieme le informazioni che ora sapeva. 
La notte non dormiva, ma il suo spirito era libero di staccarsi dal corpo e udire le voci delle piante e i pensieri delle persone sveglie, udiva frasi spezzate provenienti dai sogni di chi dormiva, se sfiorava le strane scie colorate che emettevano
Quando era uno spirito poteva attraversare le pareti, e nessuno poteva vederlo, né percepirlo. 
Quando si era avvicinato a suo fratello, per esempio, lui non si era accorto della sua presenza. 
Per risvegliarsi, doveva ridistendersi sul suo corpo. Questo glielo aveva insegnato il fatto, e si era rivelato corretto. 
Sempre il gatto, poi, lo aveva definito “dormiente”, e gli aveva detto anche che si era appena risvegliato. 
In effetti, riconobbe che il gatto gli aveva dato l’impressione di conoscere molte cose sul suo conto. Dunque forse lui sarebbe stato in grado di rispondere ad alcune delle sue domande, come per esempio: perché era in grado di fare ciò che faceva? Perché lo aveva scoperto solo ora? ne era sempre stato capace, senza essersene mai accorto prima? 
Cos’altro aveva il potere di fare? Esistevano altre persone come lui? Erano riflessioni interessanti, ma senza frutto. Non portavano a niente. Però il gatto poteva dargli risposte. Lo cercò in tutta la casa. Niente. Non c’era prima che uscisse, ed ora non era ancora tornato. Doveva essere uscito per una passeggiata notturna. Lo avrebbe aspettato.
Rimase ad attenderlo veramente a lungo, ma non arrivò. Alessandro si costrinse a raggiungere il proprio corpo, nella sua stanza. Era addormentato, ed emanava numerose scie. 
Le toccò, ed udì le stesse domande che si era posto poco prima riguardo i suoi poteri, se tali si potevano definire. 
Del resto, erano quelli i suoi pensieri. Che altro si aspettava di udire? 
Guardò il proprio corpo assopito, e ripensò a quella ragazza che dormiva senza pace, circondata dalle ombre. L’angoscia nera che la circondava era talmente forte che, al confronto, le scie emanate dal suo corpo e da quello dei genitori erano veramente di intensità irrisoria. 
Come si poteva vivere con un dolore così grande? 
E quella ragazza era così giovane, probabilmente non era più grande di lui; quale dolore poteva mai portarsi dietro? 

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