sabato 4 dicembre 2021

"Solo con gli occhi" di Risa Wataya

"Era soltanto occhi. Anch'io ero soltanto occhi. Come si potrebbe definire altrimenti l'atto di guardare con tanta intensità?"


"Solo con gli occhi" è un romanzo scritto nel 2003 da Risa Wataya. 
L'autrice, che ha scritto il romanzo  da giovanissima vincendo il prestigioso premio Akutagawa, ha descritto uno spaccato di vita adolescenziale giapponese che probabilmente risulta diverso dalla quotidianità a cui siamo abituati. Eppure, i sentimenti dei giovani sono gli stessi e in questo sta l'universalità del romanzo: la protagonista esprime alla perfezione il desiderio di essere giudicata positivamente dai coetanei, che si scontra con l'esigenza di distinguersi e che è alla base della costruzione di quella che in psicologia viene definita "la propria favola personale".

"Volevo essere riconosciuta. Volevo essere perdonata. Volevo che qualcuno prendesse a una a una le corde nere attorcigliate intorno al mio cuore come capelli impigliati in un pettine e le buttasse nella spazzatura. Volevo che gli altri facessero qualcosa per me. Anche se non mi veniva in mente assolutamenete nulla che io potessi fare per gli altri."

Hatsu frequenta il primo anno del liceo. Non ha problemi particolari nello studio, la sua difficoltà più grande è intrattenere relazioni con i coetanei. Aggrappata disperatamente a Kinuyo, l'unica amica delle medie con la quale aveva un rapporto stretto e personale, la vede scivolare via insieme ai suoi nuovi amici. Kinuyo cerca di coinvolgerla e farla entrare nel nuovo gruppo, ma Hatsu teme che ogni azione gentile nei suoi confronti non sia altro che una presa in giro, e non riesce ad aprirsi agli altri in virtù di questa paura paralizzante. Si convince di essere superiore agli altri e di bastarsi, perché altrimenti dovrebbe ammettere che li invidia profondamente e affrontare la sua incapacità di comunicare con i compagni come un problema.
Trovandosi spesso sola, nota un ragazzo escluso proprio come lei. Si tratta di Ninagawa, il quale sembra a proprio agio, da solo. Che con lui Hatsu possa costruire un'amicizia, un legame, o persino qualcosa di più?
Eppure, tutti sostengono che Ninagawa è un otaku.
"Otaku" è una parola che in Italia è stata presa a prestito dal giapponese e viene usata per indicare bonariamente chi apprezza particolarmente manga, anime e altri prodotti d'intrattenimento tipicamente nipponici, arrivando anche ad acquistare gadget di importazione. In Giappone ha una connotazione particolarmente negativa, infatti si usa per additare qualcuno che ha un'ossessione quasi maniacale nei confronti di qualcosa o qualcuno.

Anche se inizialmente la cosa non sembra infastidirla, presto Hatsu si rende conto che in effetti il ragazzo è profondamente disadattato e asociale, maniacalmente attratto dalla modella Oni-Chan e da tutto ciò che la riguarda.

Questo non trattiene Hatsu dal provare a distoglierlo dalle sue ossessioni, ma i suoi tentativi cadono nel vuoto e le causano soltanto amare delusioni.



La situazione di Ninagawa puà sembrare assurda, eppure il suo comportamento non è inusuale: in Giappone è estremamente diffuso il fenomeno di giovani che concentrano la loro esistenza esclusivamente su un'insana passione, atteggiamento favorito da una vita vuota e priva di reali affetti e relazioni. Non è un caso, infatti, che Nikagawa abbia difficoltà a relazionarsi persino con i suoi stessi genitori.

Hatsu, comunque, non sta meglio di Ninagawa. Eppure, essendo la narratrice, si sente normale rispetto a lui - pur trattandosi sicuramente di una narratrice inattendibile - guarda l'amico con sguardo esterno e razionale, rendendosi conto di essere per lui solo una persona con cui parlare della sua passione, di essere ai suoi occhi non un'amica e né tanto meno una ragazza nei cui confronti provare attrazione.

Il titolo - solo con gli occhi - vuole sottolineare il continuo guardarsi dei due protagonisti, che vedono chiaramente i difetti l'uno dell'altra, senza riuscire tuttavia a comprendere i propri.
Ma forse è molto più adatto alla storia il titolo originale, che significa "Calcio nella schiena": quello che più volte Hatsu vorrebbe tirare al suo amico, desiderosa di scrollarlo dal suo torpore, per essere vista da lui, capita veramente.

I due ragazzi costruiscono un legame morboso, stranissimo, che non diventa mai amicizia né attrazione. Hatsu non vuole ammettere di provare attrazione nei suoi confronti, e si scopre delusa dall'impossibilità di distogliere il ragazzo dai suoi sentimenti perversi e distorti nei confronti di Oli Chan.
Nella riservatezza di Ninagawa non si nasconde una delicata sensibilità, ma una psicopatica asocialità.

"Stavamo guardando lo stesso paesaggio, io e lui, eppure avevamo in testa pensieri diversi, ne ero sicura. Nonostante ci trovassimo insieme in un posto dove il cielo e l'aria avevano quel bell'azzurro profondo, non capivamo nulla l'uno dell'altra."

Realtà, finzione, ricerca di comprensione: in un libro di così breve respiro, l'autrice ha saputo descrive efficacemente la solitudine dei millennials. Una solitudine cercata e costruita, indistruttibile, insormontabile, gigantesca.

La storia non offre soluzioni né una magica risoluzione da fiaba. Eppure, nelle parole forti di Kinuyo, l'amica di Hatsu, è forse riassunta efficacemente l'unica via d'uscita da una vita solitaria e corrosiva:

"Hatsu, tu parli senza sosta, parli praticamente da sola, agli altri non lasci dire una parola, possono soltanto ascoltare. Ascoltare e annuire. Se la smettessi di parlare tu e veramente comunicassi con la gente, non ci sarebbero silenzi. E anche se capitassero momenti di silenzio sarebbero una cosa naturale, non metterebbero a disagio nessuno."

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