sabato 19 settembre 2020

Dreamless boy~ Capitolo 8

Natalia richiuse svelta la portiera dell’auto, chiudendosi dentro.
Ripensò agli eventi della giornata. Non poteva davvero lamentarsi. Le ragazze della sua classe sembravano gentili, e lei avrebbe tanto voluto mostrarsi più espansiva per non spegnere il loro entusiasmo, ma sapeva di non poterselo permettere. Doveva tenere sotto controllo le sue emozioni, per la propria sicurezza e quella altrui. Era snervante e per nulla facile, ma necessario.
Trasferirsi non era stata una cattiva idea, in fondo.
Qui nessuno sapeva chi era, cosa avesse fatto. Cosa era successo. 
Ma ripensare al suo passato era ancora infinitamente doloroso. 
-Allora Natalia, sono gentili le tue compagne? – le chiese sua madre, che occupava il posto di guida ed esibiva un sorriso da copione. 
Natalia sorrise appena. 
-Sì, hanno cercato subito di fare amicizia con me. Sono… simpatiche. Non mi aspettavo un’accoglienza così calorosa. – ammise. 
E soprattutto non mi aspettavo sguardi così. Curiosi e aperti. Non cattivi. Non gli sguardi di occhi che mi cercano solo per indicarmi e ridere. 
Lo pensò, ma non lo disse. 
-Dimmi, hanno fatto qualche domanda in particolare sul tuo aspetto? – 
-Naturalmente… credevano fossi albina- 
-Come tutti – rise sua madre. –Del resto, nemmeno i dottori, sin da quando eri bambina, riuscivano a capire come potessi avere un tale aspetto, senza esserlo – Ricordò. 
Anche Natalia rise, se lo ricordava. Sua madre divenne seria.
-Sai perché siamo qui. Nessuno sa chi sei. Non dire nulla di ciò che dicevi prima… - 
-Non lo farò – assicurò la ragazza. L’atmosfera allegra e leggera di un attimo prima si era fatta improvvisamente tetra. 
-…E non fare nulla di strano – Natalia annuì, cupa. 
Quello sarebbe stato meno facile. 
A volte accadevano a torno a lei avvenimenti bizzarri di cui era consapevole di essere la causa, ma che non sapeva come evitare. 
Qualche volta aveva provato a parlarne con sua madre. Ma lei, prevedibilmente, non aveva capito. Il suo sguardo si era fatto freddo, gelido, inespressivo, e Natalia aveva compreso che temeva un ritorno della sua presunta malattia. 
Subito dopo aveva detto che l’aveva presa in giro, era tutto uno scherzo, e lei si era rilassata. 
Ma quello scintillio gelido non era mai sparito del tutto dai suoi occhi, e a volte le sembrava di scorgerlo ancora. E la feriva più di qualunque altra cosa. 
Come biasimare le sue reazioni? Chiunque avrebbe reagito come lei. Natalia doveva rassegnarsi, non poteva condividere i suoi segreti con nessuno. Non più, almeno. L’unica persona con cui lo avrebbe fatto, ormai non c’era più. Lei la guardava sempre con affetto, lei l’avrebbe capita, lei non l’avrebbe mai chiamata pazza… una parola che adesso le faceva male sentirla pronunciare persino per scherzo. 
Da bambina, quando veniva additata dagli altri per il suo aspetto, osservata con curiosità, si sentiva a disagio. Ma lei le aveva spiegato che la curiosità è un sentimento normalissimo e umano, e che lei non
doveva essere intimidita dagli sguardi altrui, ma orgogliosa della sua diversità. Era come gli altri bambini, solo con qualcosa di più. Una bambina bianca come la neve. 
Quegli sguardi non l’avevano turbata più.
Ma poi avevano iniziato a guardarla non come si guarda qualcuno con un aspetto diverso, bensì con il compatimento riservato ad un malato di mente. 
Scrollò la testa. Non voleva ricordare quei momenti spiacevoli.
Aveva sempre saputo distinguere gli occhi stretti e sospetti di chi la riteneva pazza dalle occhiate incuriosite, con gli occhi sgranati, di chi la credeva albina, e la osservava perché era una rarità che non si vedeva tutti i giorni. 
Non conosceva altri sguardi, o meglio, a lei non erano mai stati rivolti, per molto tempo.
Almeno non fino a quel mattino, quando l’aveva fissata quel ragazzo dai lunghi capelli biondi. 
Lo aveva già visto, mentre passava sotto la sua finestra. Ma per la prima volta, quel mattino, i loro sguardi si erano incrociati, senza essere separati da un vetro o da una barriera.
E aveva avuto la strana, assurda impressione, di conoscerlo. Sapeva di non averlo mai visto prima, ma aveva provato una strana sensazione, come se lo avesse incontrato in una vita precedente, cento anni prima. Come se… lo riconoscesse, in un certo senso. 
Era assurdo, mai con nessuno aveva provato una simile sensazione. 
Anche lui aveva avuto la stessa impressione, quando si erano guardati? 
Lo sguardo nei suoi grandi occhi verdi non era stato di curiosità, né di pietà. Lui l’aveva guardata, e non aveva visto né l’albina, né la matta. 
L’aveva guardata come se le leggesse l’anima, come se sapesse chi era e cos’era. 
Ma ciò era impossibile, perché nemmeno lei lo sapeva.

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