martedì 4 novembre 2025

"Katabasis" di R.F. Kuang: la discesa negli inferi e dentro di sé


Credevo che in "Babel" R.F. ( recensione qui ) Kuang avesse intrapreso un'opera irripetibile di acuta, lucida e spietata critica del mondo accademico. Credevo fosse un libro coraggioso e che non si potesse scrivere nulla di più audace sul tema. 
Eppure, con "Katabasis", l'autrice supera sé stessa, scegliendo di usare la sua ricca e forbitissima penna come una spada affilata per affrontare il tema serissimo e spinoso dell'abuso di potere più spregevole che possa riservare un ambiente didattico, portando ad un altissimo livello di granularità lo stesso tema già trattato da "Il dio di illusioni" di Donna Tartt e "A study in Drowning" di Ava Reid. 
Quel che la Reid aveva sfiorato, qui viene esposto al lettore in tutta la sua bruttura, in tutto il suo squallore. Non è voyerismo ma necessaria e minuziosa analisi, quasi scientifica, di ricostruzione di una storia di abuso. 

Alice, giovane ricercatrice di magia analitica, ha sacrificato tutto nel nome della carriera: gli anni migliori, le relazioni, la salute. Il suo sogno è quello di diventare una maga riconosciuta, una professoressa di magia. Per riuscirci ha bisogno di una lettera di referenze dal professor Grimes, figura eminente e influente nel mondo accademico.
Per ottenere l'approvazione del professore sopporta umiliazioni, sfruttamento e manipolazione psicologica, convinta che la sofferenza sia parte del percorso, un prezzo da pagare per essere “all’altezza”.
Ma un incidente — un errore banale, una distrazione di cui è lei stessa la responsabile — porta alla morte del professore. Senza di lui, Alice sa di non avere un futuro nel mondo accademico.
Questa consapevolezza la porta alla decisione di discendere all’inferno per riportarlo in vita.
Una scelta che può apparire folle, ma alla sua mente analitica risulta l'unica possibile, anche perché potrebbe permetterle di ottenere di nuovo il suo favore che, negli ultimi tempi, aveva perso. 
Quello all'inferno è un viaggio che richiede un prezzo altissimo - sacrificare metà degli anni che le restano da vivere - eppure Alice lo paga senza esitazioni. 
Sarà accompagnata da Peter, un altro ricercatore magico, che a sua volta ha le proprie buone ragioni per riportare in vita il professor Grimes. 
Ma cosa è successo davvero nelle loro vite da legarli al mondo accademico? E cosa li lega così intensamente al loro professore? 
Il loro viaggio nel mondo dei morti li condurrà ad esplorare anche gli angoli tetri del loro passato e della loro vita accademica apparentemente meravigliosa, dove si nasconde una realtà terribile.
Perché, come diceva Tolkien: "non sempre è tutto oro quello che luccica."

In greco, katábasis significa “discesa” — e nella tradizione mitica è la discesa agli inferi, ma anche la discesa dentro di sé.
Nel romanzo di Kuang, l’inferno non è solo un luogo fisico: è anche la mente di Alice, popolata dai ricordi dei momenti vissuti con il suo professore, dall'ossessione totale della vita accademica, sua unica ragione di vita. 

"Per un incarico di docenza avrebbe sacrificato il suo figlio primogenito. Si sarebbe tagliata un braccio o una gamba. Avrebbe dato qualsiasi cosa, l’importante era mantenere il proprio cervello, riuscire ancora a pensare."

La sua discesa non è solo una ricerca del professore morto, ma di sé stessa — della parte di sé che ha creduto nella favola del merito. Alice deve scendere dentro sé stessa, rivivere quel che ha vissuto, quel che è accaduto. Deve analizzarlo per poterlo comprendere. 
Alice racconta a sé stessa una versione dei fatti che non coincide con la realtà. Cosa è successo davvero? 


Viene analizzato il legame tra Alice e Peter.
Il libro ripercorre i loro primi anni nella ricerca, entusiasti, capaci di condividere idee e momenti felici, prima che tutto il bello del loro lavoro venisse inghiottito da un atteggiamento competitivo e spietato che non lasciava spazio a momenti autentici. 
Due ragazzi fra cui nasce un sentimento che non ha avuto modo di sbocciare perché diviso da muri di silenzio, di fraintendimenti, di rivalità. 
Eppure, non sono mai stati agli antipodi, ma pedine ugualmente sostituibili nelle mani del professor Grimes, deus ex machina dell'intera loro vita accademica. 

Proprio il rapporto fra Alice e il professor Grimes, che viene svelato un pò alla volta, capitolo dopo capitolo, è il cuore velenoso del romanzo.
Il professore ha piegato la mente della sua allieva, sottoponendola ad abusi ed umiliazioni sempre più pesanti e crudeli, sino al momento in cui, cercando di sedurla e vedendosi rifiutato, ha deciso di cancellarla dalla narrazione, chiudendola in un gioco di silenzio e crudeltà impossibile da sopportare. 

Quello che ha subito Alice non è semplicemente abuso di potere, ma anche un tradimento di quella promessa implicita e sacra tra insegnante e allievo, tra chi guida e chi si affida.
Grimes la seduce intellettualmente prima ancora che emotivamente: lusinga, incoraggia, concede piccole dosi di attenzione come premio, per poi ritirarle, sostituendole con parole amare e crudeli. 
Il professore concede e toglie, e Alice desidera le sue attenzioni come una manna dal cielo. 
Il professore non assume questo atteggiamento solo nei suoi confronti, ma anche con gli altri numerosi collaboratori che lo circondano e lo adulano. Ogni giorno li pone uno contro l'altro, fa in modo che non si spalleggino, li rende rivali e prova un perverso piacere a guardarli competere per la sua attenzione.
Il laboratorio, spazio mentale prima ancora che fisico, lungi dall'essere un nido sicuro per chi studia e si impegna, si trasforma così in un'arena dove ognuno impara a misurare il proprio valore sul metro dell'approvazione del professore, sopportando ogni umiliazione

Quello di cui Alice aveva più bisogno, allora, era una bella lunga vacanza — e forse poi un periodo di ricovero in qualche struttura isolata vicino al mare.
Ma saltare il laboratorio non era un’opzione. [...] Alice era disperata di tornare nelle sue grazie. [...]
Nei brevi momenti in cui i loro sguardi si incrociavano, il respiro le si fermava, e pensava che forse le sarebbe piaciuto morire.”

Il respiro di Alice che si spezza davanti al professore non è solo paura: è l’impossibilità di esistere fuori dal suo sguardo.
Il comportamento del professore è gravissimo: far credere ai propri studenti di essere apprezzati, e invece usarli solo come specchio del proprio narcisismo.

«Ci sono promesse di poco conto, certo. [...] E poi ci sono le dichiarazioni. [...] Il genere di promesse che un insegnante fa al proprio studente.»

Questa frase è quella che ho ritenuto maggiormente incisiva.
Il professore, come una figura sacra, nel momento in cui accetta uno studente, gli promette implicitamente protezione e rispetto. Infrangendo quella promessa non si dimostra solo una persona volgare, ma compromette quel legame sacro che dovrebbe rimanere intoccabile. 

E allora la discesa di Alice è necessaria perché è l’unico modo per affrontare la verità: l'attenzione oscura del professor Grimes non era cura, non era rispetto, e neppure una forma di affetto romantico. Era una forma malata di potere.
Eppure, anche comprendendo questo, Alice non riesce a smettere di desiderare la versione di lui che le era stata promessa. Non può smettere di continuare a difenderlo, a cercare giustificazioni al suo comportamento. Perché, in fondo, cos'ha fatto di male, lui? 
Dopotutto, è stata colpa di Alice. Perché lei, negli sguardi intensi di lui, si ritrovava a desiderare delle attenzioni differenti, quasi romantiche. E dunque, non è forse causa del suo stesso male? Accettare il gioco non significa forse accettare la possibilità di perdere, di diventare vittima? 

"Difficile dire dove finiva l’illecito del professor Grimes e dove iniziava la propria complicità. Difficile stabilire dove aveva sbagliato.
Avrebbe dovuto capirlo fin da subito.
Era l’agnello che si era cacciato dentro la tana del leone perché voleva vedere con i suoi occhi se quel che si diceva era vero. In fondo in fondo, una parte di lei voleva essere divorata."

Ma, come scrive Neil Gaiman in "Coraline": "Nessuno vuole tutto quel che desidera. Non veramente." E allora, quello che nasce come un'infatuazione intellettuale, un'astratta fantasia da lontano che non desidera una reale concretezza, sfociata al massimo in uno sguardo sognante, può essere definita veramente una colpa? 
È in questa contraddizione di Alice - provare un intreccio confuso di fascinazione, idealizzazione e timore nei confronti del suo professore - che il romanzo si concentra, e la protagonista si smarrisce.
Quel che segue è un brano significativo:

Desiderava riavere il controllo della sua mente, desiderava essere più di un corpo, più di semplice carne, un oggetto da incidere e osservare e su cui riversare le proprie attenzioni nei momenti di noia. Desiderava la versione di lui che le era stata promessa, quella di un insegnante che teneva a lei, la rispettava come studiosa, non la trattava come uno strumento.
Ma era tutta una favola. Nell’instancabile sforzo di avvalorare il prestigio e il fascino di essere una studentessa del professor Grimes, si era preclusa ogni altra alternativa. E ora si trovava nella trappola che aveva costruito con le sue stesse mani.
È inutile, rifletteva scoraggiata. È inutile cercare di uscire da questa situazione. Provarci significa distruggere tutto. Se si smette di credere anche a un solo postulato, l’intero edificio crolla.”

In queste righe, la Kuang cattura l’essenza del tradimento accademico e umano: il momento in cui si acquisisce consapevolezza di essere stati ridotti a strumento e carne dal mentore da cui ci si aspettava guida e rispetto. 
La violenza del professore non è solo fisica o verbale: è cognitiva. È l’appropriazione della mente, del tempo, del desiderio dell'altra persona.
Alice non è solo sfruttata: è occupata. Il suo spazio mentale non le appartiene più.
Il desiderio di“riavere il controllo della sua mente” è il grido muto di chi si accorge troppo tardi di essere stato colonizzato nel pensiero, convinto che la stima del carnefice potesse giustificare l'ingiustificabile. 

Alice non è più libera di pensare, perché pensare significa mettere in discussione il mito che la tiene in vita.
Quando Kuang scrive: “Se si smette di credere anche a un solo postulato, l’intero edificio crolla" con il termine postulato si riferisce all'intelletto del professore, burattinaio che gioca con le vite dei suoi sottoposti: è malvagio ma è un genio, un gigante, e quindi può permettersi ogni crudeltà. 

Se si mette in dubbio la sua grandezza, tutto il senso del dolore si sgretola. 

E allora è impossibile dare la colpa a lui: Alice deve dare la colpa a sé stessa, perché solo in quel modo quel che è accaduto ha un senso. 
Meglio credersi colpevoli che accettare di essere stati privati della libertà di scegliere. 

La colpa, almeno, dà l’illusione di controllo.

Ma non è la verità. Nessuna delle azioni di Grimes è giustificabile, o provocata da Alice, che contrariamente a quel che crede non è mai stata libera di scegliere, ma solo attrice casuale di un copione già scritto per lei. 

"«Smetti di giustificarlo.»
«Io non...»
«Ci stavi provando. Ascolta, Alice, ci sono passata anch’io. Per anni ho cercato di giustificarlo. Tutto quello che hai appena detto, io l’ho già vissuto. Ci ho riflettuto. Quindi fidati di me se ti dico che non c’è niente da scoprire. Certe persone sono crudeli, punto e basta. Non c’è premeditazione. Non sono dei giganti. Non lo fanno per un motivo preciso, semplicemente gli piace comportarsi così."

La discesa di Alice all’inferno non è dunque un atto magico, e l'intero romanzo non è solo un'avventura fantasy, ma metafora di una lenta e dolorosa elaborazione di un fortissimo trauma relazionale e psicologico. 
Che nella realtà non costa anni di vita, ma certamente ha un costo emotivo altissimo. 
Alice crede di intraprendere un viaggio per riconquistare ciò che ha perso e invece si trova a dover affrontare - e accettare - come è stata ingannata.
Nel tentativo di riportare in vita il suo professore, cerca di dare un senso a un dolore che non ne ha.

"«Da come parli sembra che tu neanche sappia perché sei qui.»
«Esatto.» La sua frustrazione la sfiniva. Alice avrebbe voluto scacciarlo via come una mosca fastidiosa. «Io non lo so. Sono solo stanchissima.»
«Ma non ti importa di niente?»
«Lo so, forse dovrei.»"

Vuole “riparare” la storia, come fanno tutti i sopravvissuti all’abuso: tornare indietro, rimettere ordine, riscrivere l’istante in cui tutto è crollato.
Ma il romanzo suggerisce che non c’è resurrezione da un evento come questo, solo consapevolezza, apprendimento.
Dopo la "Katabasis" non si può tornare come prima. Ma a quel punto può esserci risalita: l’anábasis, che arriva quando Alice smette di cercare giustificazioni e accetta di chiamare il male con il suo nome.
Quando smette di credere che fosse colpa sua.
Quando, finalmente, si riappropria della sua mente. 
La risalita non cancella la ferita, ma restituisce dignità a chi l’ha subita. È il momento in cui la voce torna ad appartenere a chi era stato ridotto al silenzio.

R.F. Kuang descrive con precisione chirurgica un dolore che non è solo individuale, ma collettivo: quello di intere generazioni di studenti, ricercatori, allievi che hanno confuso lo sfruttamento con il privilegio, che hanno giustificato l'abuso, perso sé stessi lungo la strada. 
"Katabasis" è un romanzo talmente doloroso che non so se consigliarlo. Credo che non sarà capito del tutto da chi non ha vissuto in un microcosmo tossico e lo ha visto corrodersi dall'interno, anche se forse tutti dovrebbero leggerlo per imparare a individuare sul nascere i germi di un rapporto lavorativo tossico, comportamenti che si ripetono uguali sempre negli stessi schemi.
Ritengo, comunque, che sia una lettura necessaria soprattutto per chi ha vissuto un'esperienza uguale o vagamente simile a quella narrata, perché può essere un romanzo catartico, un supporto valido nell'elaborazione di quel che è accaduto. 

L'esperienza di Alice è quella di tante donne, soffocate nel buio di un legame che toglie la voce, e la lenta, faticosa risalita verso la possibilità di credere che sia possibile aprirsi una strada incorrotta in un mondo perverso.

E allora, per tornare alla citazione di Tolkien: "Non è tutto oro quello che luccica, e non tutti gli erranti sono perduti." 
Alice è un'errante, si è perduta. 
Ma può ritrovarsi, riuscendo a perdonarsi. 
E deve ritrovarsi. Deve farlo, perché è il solo modo per tornare ad appartenere a sé stessa. A vivere di nuovo. A respirare. 



mercoledì 29 ottobre 2025

La trilogia del Sole Nero di C.S. Friedman




Fanucci Editore ha intrapreso negli ultimi anni un meritorio progetto di recupero dei grandi cicli fantasy e fantascientifici degli anni ’90, e la pubblicazione della

Trilogia del Sole Nero di C. S. Friedman (titolo originale The Coldfire Trilogy) ne è uno degli esempi più riusciti.
L’edizione in formato flessibile si distingue per la cura editoriale: la copertina illustrata da artisti contemporanei italiani riesce a evocare perfettamente l’atmosfera del romanzo — oscura, crepuscolare, intrisa di potere e ambiguità. La qualità di stampa è ottima, con un carattere leggibile, carta avorio di buona grammatura e un’impaginazione pulita, che rende piacevole la lettura.

Il formato flessibile rappresenta un equilibrio riuscito tra edizione economica e volume da collezione: maneggevole ma solido, con una resa grafica superiore alla media delle collane di genere.

La saga è ambientata sul pianeta Erna, colonizzato da umani provenienti dalla Terra più di un millennio prima degli eventi narrati. In quel mondo alieno esiste una forza misteriosa, il fae, un’energia primordiale e psichica che risponde ai pensieri, alle paure e ai desideri degli esseri viventi, trasformandoli in realtà tangibile. È una forza tanto affascinante quanto pericolosa: il sogno e l’incubo possono assumere forma materiale, e il confine tra il reale e l’immaginato si dissolve in un perpetuo crepuscolo.
Nel primo volume, Il cavaliere del sole nero, seguiamo Damien Vryce, sacerdote e guerriero dell’Ordine, giunto su Erna per portare la fede e la ragione in un mondo che sembra rigettare ogni certezza umana. Al suo fianco si muovono due figure importanti: Gerald Tarrant, l’enigmatico stregone immortale, signore del fae oscuro, e Ciani, una studiosa che cela un passato doloroso. I tre intraprendono un viaggio per fronteggiare una minaccia che trascende il naturale — una creatura scaturita dal fae stesso, capace di sovvertire l’ordine del mondo.
Nel secondo volume, L’oceano del sole nero, Friedman amplia l’universo narrativo: Damien e Tarrant, legati da un’alleanza tanto necessaria quanto moralmente ambigua, devono attraversare territori ignoti per affrontare un potere più antico e devastante. Il viaggio li conduce verso i confini del continente e oltre, in un confronto sempre più interiore e simbolico, in cui il tema del bene e del male si dissolve in sfumature di compromesso e sacrificio.


La forza della saga risiede nell’ibridazione dei generi: Friedman unisce elementi di fantascienza coloniale -la presenza di un pianeta alieno e di antiche tecnologie umane dimenticate- con la struttura e l’estetica del dark fantasy gotico. Il risultato è un mondo complesso, coerente, pervaso da una tensione costante tra razionalità e mito.
Nel primo volume, la trama segue un andamento quasi classico: il viaggio dell’eroe, la missione, la scoperta. Ma Friedman inserisce continuamente fratture e ambiguità. Damien è un prete di profonda fede, ma la sua fede è messa in crisi dal contatto con un universo dove la spiritualità ha un effetto fisico e distruttivo. Gerald Tarrant, invece, è l’antieroe per eccellenza: un uomo che ha abbracciato la dannazione per ottenere potere, ma che conserva una lucidità e un carisma quasi tragici. La loro dinamica – collaborazione, repulsione, rispetto – è il cuore pulsante della serie.
Nel secondo volume, la struttura si fa più ampia e meditativa. Friedman abbandona l’epicità lineare del primo libro per un racconto più introspecttivo e filosofico, in cui il viaggio diventa esplorazione del senso stesso del male. L’intreccio si arricchisce di visioni, riflessioni teologiche e momenti di pura tensione.

I personaggi di Friedman sono scolpiti con notevole profondità psicologica. Damien Vryce è l’uomo della fede costretto a muoversi in un mondo che smentisce ogni dogma; la sua evoluzione ricorda certi eroi di Ursula K. Le Guin, combattuti tra dovere e conoscenza.
Gerald Tarrant è invece una delle figure più affascinanti del fantasy moderno: un vampiro metaforico, raffinato, spietato eppure coerente con un proprio codice morale. È un personaggio che incarna la contraddizione stessa del potere e della redenzione.
Ciani, nella sua fragilità e nella sua ostinazione, rappresenta la componente umana che equilibra la tensione tra i due poli maschili: scienza e magia, luce e ombra.
Nel secondo volume, la psicologia si fa ancora più sottile. Damien e Tarrant evolvono in un rapporto di rispetto e dipendenza reciproca, e Friedman esplora la possibilità di una cooperazione etica tra fede e empietà, tema raro e potentissimo nel fantasy. I personaggi secondari — mercenari, nobili decaduti, entità del fae — contribuiscono a rendere Erna un mondo vivo e moralmente stratificato.

Lo stile di C. S. Friedman è ricco, colto, ma sempre funzionale alla tensione narrativa. La sua prosa alterna descrizioni poetiche a dialoghi serrati, con un lessico che mescola termini religiosi, scientifici e magici in modo sorprendentemente armonioso.
L’autrice scrive con una sensibilità più vicina alla letteratura “alta” che alla narrativa di consumo: non cede mai al didascalico, e spesso affida al non detto e alla suggestione il compito di evocare orrore o meraviglia.
La traduzione italiana di Francesca Noto restituisce molto bene questo equilibrio, conservando la musicalità originale e l’intensità filosofica del testo.
L’atmosfera è costantemente crepuscolare e ambigua, dominata da immagini di luce e ombra, da simbolismi religiosi e da un tono quasi lirico che la avvicina più a una tragedia metafisica che a un’avventura eroica. Friedman scrive un fantasy “adulto”, in cui la magia è allegoria della coscienza umana e la fede diventa un atto di resistenza contro il caos.

Con Il cavaliere del sole nero e L’oceano del sole nero, C. S. Friedman costruisce una delle saghe più originali del fantasy contemporaneo.
L’edizione Fanucci rende giustizia a un capolavoro del dark fantasy, presentandolo in una veste editoriale curata e accessibile. È una lettura impegnativa, ma profondamente appagante: una riflessione sul potere, sulla fede e sulla necessità di convivere con l’ombra per riconoscere la luce.



venerdì 24 ottobre 2025

"Hacker" di Christian Hill


"Hacker" racconta la storia di Raffaele, un ragazzo comune che, per impressionare la ragazza che gli piace, apre un account su Scribo, un’app di scrittura, e pubblica un racconto molto mediocre. Ma quando decide di abbandonare la sua “carriera” da scrittore, sul suo profilo iniziano a comparie ogni giorno racconti distopici inquietanti e misteriosi. Chi è a pubblicarli? Un hacker si è infiltrato nel suo account? Perché?Mentre Raffaele si destreggia tra compiti scolastici e il progetto ambizioso di creare un modello di linguaggio AI per “riportare in vita” un amico defunto, il mistero si infittisce.


La storia unisce elementi di vita quotidiana con un alone di mistero e tecnologia. La narrazione cresce di tensione pagina dopo pagina, facendosi sempre più misteriosa, mantenendo viva la curiosità su chi si cela dietro i racconti pubblicati e quale sia il loro scopo. 

Lo stile è semplice e diretto, perfetto per catturare l’attenzione di un pubblico giovane e contemporaneo. 


Raffaele è un protagonista credibile e ben caratterizzato, con le sue insicurezze e passioni, che lo rendono facilmente riconoscibile. Anche i personaggi secondari, come la ragazza di cui è innamorato e il suo amico defunto, aggiungono profondità alla storia. Tramite le situazioni proposte, vengono approfonditi temi attuali come la presenza invadente della tecnologia nelle nostre vite, la costruzione dell'identità e il desiderio di connessione con l'altro.

Inserito nella collana Dark de Il Battello a Vapore, questo libro è una lettura perfetta per Halloween, grazie all’atmosfera leggermente oscura che lo caratterizza. 

giovedì 23 ottobre 2025

The Thaumaturge


Ciao amici videogiocatori, dopo Clair Obscur expedition 33 ho deciso di dare qualche possibilità agli rpg e ho trovato un titolo molto sfizioso: The Thaumaturge è un affascinante RPG ambientato nella Varsavia del 1905, una città ricca di contraddizioni, tensioni politiche e misteri soprannaturali. 

LA STORIA
Il protagonista, Wiktor Szulski, è un "taumaturgo", capace di interagire con creature ultraterrene chiamate Salutors, spiriti legati ai difetti umani come l’orgoglio o l’impazienza, che diventano parte integrante sia della storia sia dei combattimenti a turni. La grafica è davvero splendida: le strade illuminate, i palazzi decadenti e l’atmosfera gotica creano un mondo di gioco pieno di fascino. Anche il doppiaggio inglese è di altissimo livello, con voci che danno spessore ai personaggi e rendono i dialoghi intensi. 

I COMBATTIMENTI 
I combattimenti a turni, arricchiti dall’uso dei Salutors, sono dinamici e visivamente scenografici, capaci di coniugare tattica e spettacolarità.
Inizialmente perdevo sempre perché non capivo bene la meccanica che è piuttosto complicata ma molto strategica.

IL RITMO
Il ritmo della narrazione può risultare a tratti un po’ lento, ma viene ampiamente compensato da una trama che incuriosisce, spinge a esplorare ogni anfratto e mantiene viva l’attenzione. 

LA LINGUA
Non è localizzato in italiano, ma se la lingua inglese non è un problema potrebbe piacervi. 

venerdì 17 ottobre 2025

"Il successore" di Mikkel Birkegaard


"C'è una via d'uscita, ma scegliamo consapevolmente di non prenderla. Sappiamo che è pericoloso, ma lo facciamo lo stesso."

Il celebre scrittore William Falk si toglie la vita nella casa del suo vecchio amico Laust, proprio il giorno dell’uscita del sesto volume della sua fortunata serie di romanzi gialli. Poco dopo l'inspiegabile gesto dello scrittore, Laust scopre di essere stato scelto da Falk per completare e pubblicare il suo ultimo manoscritto. Una decisione misteriosa, che lo costringerà a ripensare al loro passato comune e a indagare sui segreti celati tra le pagine del libro: libro che non si trova, e che andrà cercato, in una caccia al tesoro contro il tempo predisposta dallo stesso Falk, prima di morire. Perché il libro è così importante? E perché sembrano in tanti a desiderare che non venga pubblicato? Laust è deciso a scoprirlo, per onorare la memoria di Falk.

"Il Successore" è un thriller dal ritmo incalzante, costruito con efficacia sull’alternanza tra passato e presente. Ho apprezzato la figura del protagonista, l’idea di fondo e la struttura narrativa, sostenuta da capitoli brevi e da uno stile scorrevole che favorisce la tensione. Alcuni passaggi risultano tuttavia meno convincenti sul piano logico, e diversi personaggi appaiono stereotipati, ma nel complesso la narrazione riesce a mantenere alto l’interesse fino all’ultima pagina.
Il finale è stato d'impatto, brutale e piacevolmente inatteso.
Un thriller avvincente, perfetto per chi cerca una lettura veloce ma capace di sorprendere.
 

giovedì 16 ottobre 2025

"Bye Sweet Carole" un canto di libertà e identità

Vi porto il mio parere sul gioco del momento: Bye Sweet Carole.
Vestirete i panni di Lana, una giovane che frequenta un rigido collegio e che deve indagare sulla scomparsa della sua migliore amica, Carole.
È un platform 2D che richiede la risoluzione di enigmi ambientali in stile escape room: carini, vari e ben strutturati.
Il ritmo di gioco è piuttosto lento, ma la risoluzione degli enigmi regala al giocatore un piacevole senso di soddisfazione.

In diversi momenti compaiono anche sezioni stealth davvero interessanti (mi hanno ricordato un vecchissimo titolo della Pantera Rosa, giocato da bambina — qualcuno se lo ricorda?).
Il doppiaggio delle scene animate è coinvolgente e piacevolissimo da ascoltare, ma la vera motivazione che spinge ad andare avanti è la storia: la sincera curiosità di scoprire cosa accadrà dopo.
Ma, a un livello più profondo…
Cos’è davvero questo gioco? Che esperienza offre?
Non è solo un titolo disegnato a mano, grazioso e curato, con meccaniche stealth, qualche jumpscare ed enigmi ambientali.
È una fiaba gotica sull’identità e sulla libertà.
Ambientato nel periodo delle suffraggette, ci mette davanti a una scelta che va oltre la trama:
chi vogliamo essere, come donne — e come persone?
Vogliamo accettare il mondo così com’è o provare a cambiarlo?
Accettare compromessi svilenti non riguarda solo noi: crea un precedente.
Significa rendere più difficile la strada per chi verrà dopo, che dovrà cedere allo stesso prezzo o lottare il triplo.
Crescere, anche se fa paura, significa scegliere e assumersi la responsabilità delle proprie scelte.
Decidere se lasciarsi corrompere dal mondo — incarnato dal Corruttore di Mondi — oppure portare in esso la bellezza, anche quando costa fatica.
Il Corruttore di Mondi non è soltanto una figura maligna: è la metafora di tutto ciò che promette sicurezza in cambio della rinuncia a sé stessi.
Bye Sweet Carole ci ricorda che ogni decisione personale lascia un’eco collettiva — e che scegliere la libertà, spesso, è il più spaventoso ma anche il più necessario atto di coraggio.
E tu? Cosa risponderesti alla proposta del Corruttore di Mondi?
Il senso del gioco è tutto lì.

martedì 9 settembre 2025

"Giura" di Stefano Benni


Giura di Stefano Benni è un libro particolare che mescola surrealismo e riflessione esistenziale.

Benni gioca con le parole come se fossero le palline di un giocoliere, e durante la lettura mi è sembrato di girare su una giostra, proprio come quella che si vede in copertina.
Racconta la storia di Luna, ragazza cresciuta in un ambiente familiare difficile che si rifugia in un mondo silenzioso di storie, sogni e creature fantastiche. Fino alla fine, non è mai chiaro se gli elementi fantastici che lei narra siano reali oppure no.
Luna è innamorata di Febo, un suo coetaneo, che vede le sue stranezze, ma ne è intrigato. Questo legame è molto particolare e si snoda lungo tutta la loro vita, come se i due si aspettassero, si cercassero, ma sempre incapaci di raggiungersi davvero. Una storia difficile, che dimostra quanto spesso un sentimento non basti, per amarsi, e quanto sappiano essere forti i vari ostacoli dell'esistenza.
Dall’inizio il romanzo alterna piani narrativi diversi: l'infanzia travagliata, con la sua dimensione spirituale, la ricerca di un’identità e la sacralità delle promesse e delle illusioni della gioventù; e l'età adulta, con la sua dimensione fisica, carnale e disillusa.
Il tono del libro oscilla tra favola oscura e romanzo di formazione, con brevi momenti di poesia e tanti di malinconia.

Il tema delle radici e dell’appartenenza è centrale in Giura, ma non è l’unico. Il titolo stesso richiama l’idea di una promessa che va oltre il tempo e lo spazio, qualcosa che tiene ancorati ad un luogo e un passato, a una memoria, a una storia personale ma anche alla storia collettiva del piccolo paese da cui entrambi i protagonisti provengono, che inevitabilmente si portano dietro.

"Giura" è un libro sul desiderio di emanciparsi e su come le storie -quelle che ci raccontano e quelle che ci raccontiamo- siano quelle che alla fine, nel bene e nel male, ci definiscono.

venerdì 18 luglio 2025

Dark Room Etiquette di Robin Roe


Dark Room Etiquette è un romanzo che affonda le mani nel cuore più oscuro dell’esperienza umana, raccontando con brutalità e delicatezza insieme cosa succede quando la realtà si spezza a causa di un'esperienza terrificante e bisogna imparare a sopravvivere a tutto quel che viene dopo.

Il protagonista è Sayers Wayte, un ragazzo privilegiato: bello, ricco, arrogante, amato e sicuro del proprio posto nel mondo. Ma quell'equilibrio perfetto viene distrutto in un istante, quando viene rapito da uno sconosciuto che sostiene di essere il suo padre biologico.
Sayers si risveglia in una casa isolata, chiusa, senza finestre. Un ambiente claustrofobico e irreale, dove il rapitore impone nuove regole, un nuovo nome, una nuova narrazione della sua vita. È qui che il romanzo prende una piega inquietante e affascinante: per buona parte della storia restiamo con Sayers dentro quella “dark room”, mentre lentamente le sue certezze si sgretolano, la sua identità si confonde, e la realtà si mescola con la manipolazione. La narrazione in prima persona ci trascina nella mente del protagonista, costringendoci a vivere il suo stesso senso di disorientamento, paura, annullamento.

Ma Dark Room Etiquette non finisce con la liberazione. Anzi, è proprio nella seconda metà che il romanzo colpisce più a fondo. Una volta fuori, Sayers non riesce più a riconoscere la sua vecchia vita. La casa, gli amici, la scuola, la famiglia: nulla è come prima. È sopraffatto da un forte disturbo post-traumatico da stress (PTSD) che si manifesta in incubi, flashback, episodi di dissociazione, difficoltà relazionali. Il trauma non si è concluso con la fuga: lo ha invaso, lo ha trasformato. Sayers deve affrontare un altro tipo di prigionia – quella della sua mente, che è rimasta bloccata in quell'esperienza scioccante.

Robin Roe, con grande sensibilità e una scrittura limpida e incisiva, racconta la complessità del trauma e la fatica immensa del recupero. Non offre soluzioni facili né finali rassicuranti, ma regala al lettore un ritratto autentico di dolore, memoria e identità fratturata. Il romanzo diventa così un'esplorazione intensa di cosa significhi perdere se stessi e provare, passo dopo passo, a ritrovarsi.

Dark Room Etiquette non è solo un thriller psicologico o un romanzo sul trauma. È una storia profonda sul potere e la fragilità del cervello umano, sull’ambiguità dell’amore e sul difficile cammino verso la guarigione. 

domenica 6 luglio 2025

"Babel" di R. F. Kuang: una versione fantasy del mondo accademico

TRAMA
Nella Canton degli anni Trenta dell’Ottocento Robin, un ragazzo cinese, sopravvive miracolosamente al colera grazie a una misteriosa tavoletta d’argento usata dal professor Richard Lovell, che lo salva e lo porta con sé a Londra. Qui Robin viene educato con estrema severità allo studio lingue classiche e del cinese mandarino, per essere ammesso all’Istituto Reale di Traduzione di Oxford, detto Babel.
A Oxford, l’antico sapere sulla traduzione si usa come forma di magia: su tavolette d’argento vengono incise parole “equivalenti”, ma non identiche in due lingue, creando effetti soprannaturali. Questa tecnologia linguistica, nota come “magia dell'argento”, consente di potenziare fucili, guarire, aumentare la produzione agricola e sostenere l’impero britannico.
Robin trova amici nei compagni Ramy (Indiano), Victoire (haitiana) e Letty (britannica). Tutto gli appare perfetto fino a quando inizia a capire che il sapere linguistico di Babel serve per alimentare il colonialismo e l’oppressione, non per il bene universale.
Si troverà dunque diviso tra il desiderio di mantenere i propri privilegi e l'incapacità di restare a guardare le peggiori ingiustizie sociali, un contrasto interiore che porterà tragici sviluppi.


RECENSIONE

Le parole possono uccidere.
È un'affermazione potente, e nel mondo immaginato da R.F. Kuang in Babel, assume un significato letterale, tragico e ineluttabile. Questo corposo romanzo fantasy, che si presenta come un’opera di finzione, è in realtà una lente acuminata sulla realtà del mondo accademico: affascinante, crudele, sofisticato e cannibale.
Robin, il protagonista, è incantato dall’università di Oxford – nello specifico, dal prestigioso Istituto di Traduzione Babel – che ama e odia con pari intensità. L’accademia è per lui un paradiso dorato e insieme una prigione raffinata: un sistema che promette elevazione e illuminazione, ma che può distruggere senza pietà chi non si conforma alle sue logiche.

"Odiava quel luogo. Lo amava. Non gli piaceva come lo trattava. Eppure voleva farne parte, perché era così bello poter parlare con i professori sentendosi al loro stesso livello intellettuale, partecipare a qualcosa di grande."

Lì dentro, anche il più brillante degli studenti è solo un ingranaggio facilmente rimpiazzabile. Eppure, uscirne è altrettanto devastante: dopo aver assaporato tutto ciò che l’accademia offre, la vita al di fuori appare grigia e respingente.

"Si interrogò sulla contraddizione che stava vivendo: li disprezzava, sapeva che le loro azioni erano tutt'altro che lodevoli, eppure desiderava che lo rispettassero quel tanto da accoglierlo tra le loro fila."

Questo senso di smarrimento e di sospensione – che molti riconosceranno come tristemente vicino alla condizione del precariato accademico contemporaneo – attraversa tutto il romanzo. Robin si sente sempre “altro”: è straniero, è diverso, ma è utile finché serve. Attraverso i suoi occhi, Kuang dà voce al disagio e all’umiliazione che oggi vivono tanti ricercatori e studiosi: coloro che hanno sacrificato tutto per un sistema che spesso non li protegge, non li premia, e non li riconosce.

Ma Babel non si ferma qui. È anche e soprattutto una denuncia feroce del colonialismo culturale e linguistico. La lingua, la traduzione, il sapere diventano strumenti di potere, di sottomissione, di sfruttamento. Le minoranze vengono assimilate, saccheggiate, fagocitate da una cultura dominante che si veste di nobili ideali ma agisce per puro tornaconto. È un libro tragico, cupo, senza scampo. Un romanzo che brucia più che brillare – e proprio per questo non si riesce a smettere di leggere.
La prosa è raffinata e coinvolgente, capace di trascinare il lettore nel complesso universo interiore di Robin. Alcune sezioni risultano forse troppo dense, appesantite da lunghe disquisizioni filologiche e storiche, ma non mancano momenti di grande intensità emotiva. Se nei passaggi tecnici il romanzo può apparire pedante - per chi non è appassionato di certe tematiche- nella descrizione delle dinamiche umane e politiche rivela tutta la sua potenza.

Cosa lascia la lettura di Babel? Innanzitutto, una sensazione di inquietudine e coinvolgimento morale. Questo non è un libro che si limita a intrattenere – anche se, certamente, riesce a farlo con intelligenza.
È un’opera che interpella, sfida, costringe a prendere posizione. Un dark academia nel senso più pieno del termine: prolisso, forbito, via via sempre più oscuro, che mescola elementi del dramma ottocentesco con riflessioni attualissime su identità, potere, violenza e cultura.
Non è una lettura semplice. Ma, forse, una lettura necessaria.

martedì 1 luglio 2025

"La versione di Mati" di Eva Milella

Forse vi sarà capitato, come è capitato a me, di scoprire che i vostri cari non sono quegli esseri perfetti e impeccabili che immaginavate. Sono umani, pieni di difetti e contraddizioni. 
Ma è proprio questa umanità a renderli incredibilmente affascinanti, non trovate?

Con una voce brillante e acuta, "La versione di Mati" ci trascina nel mondo di una bambina di undici anni cresciuta in un equilibrio precario tra anticonformismo e silenzi familiari.

Mati è sveglia, ironica, e ha imparato a decifrare il mondo con gli strumenti – spesso strambi – che le ha dato sua madre, una psicologa dal metodo educativo molto personale. Quando, senza spiegazioni, la madre la affida alla nonna eccentricamente mondana e ignota, Mati si ritrova in un universo fatto di cene esagerate, tornei di Burraco e vestiti luccicanti, popolato da personaggi al limite del surreale.

Eva Milella costruisce una narrazione ipotattica e colta, piena di ritmo, attraverso gli occhi intelligenti e taglienti di una protagonista che nessuno sembra voler davvero ascoltare. 

Ed è proprio questa la forza del romanzo: dare finalmente spazio alla "versione di Mati", fatta di osservazioni sagaci, domande scomode e intuizioni che sfuggono agli adulti.
Una lettura vivace, intelligente e profondamente umana, che parla di identità, diversità, ascolto e della forza delle parole, anche quando arrivano da una bambina.

Un libro breve e frizzante, una lettura perfetta per l'estate.
Vi ho incuriosito? Spero proprio di sì.

mercoledì 21 maggio 2025

"Come uccidere il tuo capo" di Rupert Holmes

"Tutti sappiamo che la vita (ingrediente necessario di ogni omicidio) alligna sul nostro pianeta da miliardi di anni; ed è chiaro da sempre, dal primo fatidico istante in cui un’ameba ardimentosa è approdata sulla terraferma per diventare uovo o gallina, che i forti sono destinati a dominare sui deboli. Da alcuni millenni, però, in barba ai precetti darwiniani, il nostro è diventato un pianeta in cui i meno adatti non solo sopravvivono ma spesse volte prosperano, tenendo in scacco chi è migliore di loro e perpetuando un ordine sociale che vede i dirigenti, per quanto imbranati e ottusi, comandare a bacchetta i loro ben piú acuti sottoposti. Alla McMasters questa sorta di perversione delle leggi di natura è nota come «involuzione della specie», e nessuna moderna pestilenza ci sembra piú funesta di quello che chiamiamo il «sadismo del capo». La nostra accademia è orgogliosamente disposta a offrire un poderoso aiuto (anche una spintarella, se serve) a quanti siano oppressi e depressi da siffatti tiranni."

Black humor, didattica dell’omicidio e una buona dose di surreale sarcasmo: "Come uccidere il tuo capo" di Rupert Holmes è un romanzo che si diverte a infrangere le regole del politically correct, con la grazia di una coltellata ben assestata tra le scapole.

Una scuola per assassini (in fondo non così malvagi)
Il romanzo si costruisce attorno a un’idea geniale: la McMasters, un'accademia segreta dove si insegna l'arte "dell'eliminazione” (non bisogna chiamarlo omicidio, per carità). 
L'obiettivo della scuola non è insegnare agli studenti ad eliminare persone a caso: i bersagli devono essere persone talmente crudeli, tossiche o sociopatiche da rappresentare un danno per l'intera umanità. Questo posizionamento morale — apparentemente discutibile, ma gestito con ironica consapevolezza — permette al lettore di sospendere il giudizio etico e lasciarsi trasportare nel gioco.

I personaggi
Il trio protagonista è perfettamente assortito: un aspirante vendicatore aziendale con l’aria dell’impiegato modello, una ragazza brillante con un passato familiare pesante e un'attrice frustrata dalla vena teatrale drammatica. Ciò che li unisce non è solo il desiderio di vendetta, ma una sorprendente umanità: ciascuno di loro è mosso da un trauma profondo, e la scuola — paradossalmente — diventa per loro un luogo di crescita personale, quasi una terapia alternativa.
Il romanzo riesce nel difficile compito di far empatizzare con i protagonisti, rendendoli più simili a eroi buffi in cerca di giustizia che a spietati killer. Non mancano comprimari degni di nota: docenti eccentrici, compagni di corso inquietanti, nemici subdoli. Tutti costruiti con cura e caratterizzati da un’ironia affilata.

La prosa: brillante, teatrale, irresistibilmente cinica
La scrittura ipotattica è scorrevole e piena di guizzi comici. Lo stile mescola ironia british, satira americana e una generosa dose di noir, con una voce narrante che sembra ammiccare costantemente al lettore. C’è molta teatralità nella costruzione dei dialoghi, nel ritmo incalzante delle scene, nei corsi paradossali della McMasters (memorabili quelli sulle tecniche di manipolazione, sulle cause legali post-eliminazione, o le simulazioni con attori professionisti).

Il ritmo: serrato ma sapientemente calibrato
Il romanzo scorre veloce, ma non rinuncia a momenti di introspezione e flashback, che danno spessore ai personaggi. La tensione cresce gradualmente, intrecciandosi con la struttura accademica: l’anno scolastico alla McMasters diventa l’impalcatura narrativa che segue le vicende dei protagonisti fino agli "esami finali", con esiti decisamente non scontati. 

In conclusione: il gioco narrativo funziona, anche grazie alla morale ambigua
Come uccidere il tuo capo è un romanzo che diverte, sorprende e fa riflettere, pur nel suo impianto surreale. Dietro la comicità nera si nasconde una riflessione sulle relazioni tossiche, sul potere, sull’impunità sociale. E sulla tentazione — molto umana — di voler riscrivere le regole della giustizia. A proprio modo.

Consigliato a chi ama il black humor intelligente, le trame in stile dark campus novel, i personaggi imperfetti e i romanzi che sembrano commedie, ma che sanno colpire in profondità. 

mercoledì 9 aprile 2025

"Caccia alla grande volpe": uno spettacolo di magia in forma di romanzo

"Caccia alla grande volpe" è un romanzo per ragazzi edito da Rizzoli. L'autore, Justyn Edwards, grande appassionato di spettacoli di magia, ha deciso di scrivere una storia proprio utilizzando come spunto quel brivido che solo lo spettacolo di un illusionista è capace di regalare. 

Flick, figlia di un grande illusionista caduto in rovina, decide di partecipare ad un reality show indetto dal famoso mago soprannominato "la volpe". Si tratta di una specie di gioco in diretta televisiva: un gruppo di ragazzini, sfidandosi a coppie, dovrà superare le sfide e gli indovinelli nascosti nella casa dell'illusionista.
La magia, che nasce per intrattenere e meravigliare, viene snaturata e spettacolarizzata con un reality show. Tuttavia chi vincerà avrà diritto all'eredità del mago, ossia ad apprendere tutti i suoi misteriosi trucchi, compreso il celebre "sistema campana" che ne ha consacrato la fama.
Flick è particolarmente interessata a quest'ultimo: infatti lei sa bene che il sistema campana non è stato ideato dalla grande Volpe ma da suo padre, illusionista che, dopo essere caduto in disgrazia, ha lasciato la moglie e la figlia, in circostanze misteriose.
Piena di rancore, Flick spera che, dopo essersi riappropriata del sistema campana, possa trovare anche un modo per ritrovare suo padre. Tuttavia un uomo, tra gli organizzatori del reality, riconoscendo in lei un grande talento e dunque il potenziale per vincere la sfida, minaccia di far del male a sua madre se non riuscirà a vincere e a dargli il sistema campana. Tra il ricatto e lo stress crescente del reality show, riuscirà Flick a gestire ogni cosa? O saranno gli eventi ad inghiottirla viva, distruggendo ogni suo sogno?


In una narrazione dal respiro vibrante, l'autore narra la sua storia tramite capitoli brevi ed incalzanti, riuscendo a descrivere con semplicità trucchi di magia molto complessi, rendone la comprensione accessibile anche ai lettori meno esperti.

Anche l'amicizia è una forma di magia: Flick, abituata a fare affidamento solo su sé stessa, se ne renderà conto molto presto, capendo che, anche se non è facile, è possibile trovare qualcuno di cui fidarsi e con cui condividere gioie e tristezze.

Un argomento importante al quale l'autore dà spazio e rilevanza è la disabilità. Flick infatti al posto di una gamba indossa una protesi, che la rende lenta quando si muove e facilmente soggetta ad angherie e prese in giro, che tollera con molta dignità e pazienza. Molti sono anche gli amici che invece comprendono la sua difficoltà e, senza prenderla in giro né assumere un atteggiamento di pena nei suoi confronti, accettano la sua disabilità come una cosa normale.

Justin Edwards insegna che scrivere un libro non è molto dissimile dalla messa in scena di un trucco di magia: bisogna saper distogliere l'attenzione dinanzi agli occhi del lettore, e sorprenderlo con qualcosa che non si aspetta.
La storia assume dunque i contorni di uno spettacolo nello spettacolo: è la magia della determinazione di Flick che, con con l'intelligenza che la contraddistingue, riuscirà a svelare ogni mistero rimasto insoluto, fino al sorprendente finale. 

giovedì 3 aprile 2025

"House of Ash and Shadow" di Leia Stone



Leia Stone, autrice bestseller nota per le sue saghe di fantasy romantico, torna con House of Ash and Shadow, il primo volume della serie Gilded City. Pubblicato in Italia da Leggereditore il 24 gennaio 2025, il romanzo unisce magia, mistero e un’intensa storia d’amore: gli ingredienti di un'opera ideale per chi ha amato i libri di Holly Black, Sarah J. Maas e Tereh Mafi. 

Fallon Bane è una ragazza su cui grava una terribile maledizione: il minimo contatto fisico le provoca un dolore insopportabile, rendendole impossibile sperimentare la vicinanza umana. Per questo, forse, è stata abbandonata, per poi però essere adottata da un coraggioso giovane vedovo che non aveva mai avuto figli con l'amata moglie defunta e che sentiva di avere dentro di sé tanto amore da dare. Per lunghi anni, l'uomo le ha assicurato una vita serena e felice, insegnandole ad apprezzare le piccole cose che il mondo può offrirle, e a non amareggiarsi troppo per quelle che non potrà avere. Ma quando lui si ammala gravemente, a causa di un graffio con un ramo incantato, Faloon, che ha sempre vissuto nascosta, decide di lasciare la sua vita isolata per cercare un guaritore, addentrandosi nella leggendaria Gilded City. Qui incontra Ariyon Madden, un ragazzo affascinante che si offre di aiutarla. Quando lui la sfiora durante il rituale di guarigione, accade l’impensabile: per la prima volta, Fallon non sente dolore.
Questa rivelazione sconvolge il suo mondo e attira su di lei l’attenzione di potenti Fae dalle intenzioni oscure. Per proteggerla, Fallon viene accolta all’Accademia di magia, dove scopre segreti sulla sua famiglia e sul potere oscuro che si nasconde dentro di lei. Mentre il destino della Gilded City si intreccia con il suo, la ragazza dovrà affrontare nuove minacce e un crescente sentimento per Ariyon, l’unico in grado di toccarla senza causarle sofferenza, l'unico che può farle sognare di avere tutte quelle cose che aveva temuto di non vivere mai, come le carezze, l'amore, l'intimità. 
Con uno stile scorrevole, House of Ash and Shadow è un romanzo che mescola abilmente elementi di fantasy, romance e mistero, creando una storia avvincente e ricca di fascino. 

Fallon Bane è una protagonista con cui è facile entrare in empatia: la sua maledizione, che le impedisce qualsiasi contatto fisico senza provare dolore, la rende vulnerabile ma al tempo stesso forte e combattiva. La sua crescita nel corso del romanzo è ben costruita, portandola da un'esistenza solitaria e segnata dalla sofferenza a un percorso di scoperta e consapevolezza di sé. Il legame con Ariyon Madden, il misterioso guaritore che sembra sfidare le regole della sua maledizione, aggiunge un’interessante tensione emotiva alla storia, rendendo il loro rapporto uno snodo centrale. 

L'ambientazione della Gilded City è uno degli elementi forti del romanzo. La città è un luogo intriso di magia, abitato da creature magiche e dilaniato da antiche rivalità. Anche l’Accademia di magia, che frequenterà Follon, nasconde dinamiche di potere e segreti che mantengono alta la tensione narrativa. Sebbene il worldbuilding possa risultare a tratti poco dettagliato, la capacità dell’autrice di creare atmosfere suggestive e coinvolgenti sopperisce a questa mancanza, lasciando presumibilmente spazio a futuri sviluppi nei prossimi volumi. 

House of Ash and Shadow è un libro che si inserisce perfettamente in quella categoria tanto di moda negli ultimi anni che è il romance fantasy, anche detto più praticamente "romantasy": il focus, almeno in questo primo volume, è proprio l'elemento sentimentale, anche se ben intrecciato ad una storia avventurosa e deliziosamente misteriosa. 
Seppur non particolarmente originale, l'opera si presenta come una lettura piacevole, che consiglio soprattutto ad un pubblico giovane, nonché ovviamente agli appassionati del genere. 
Infine, come non parlare della stupenda edizione con gli eleganti spray edges? Varrebbe la pena possedere questo libro già solo per la sua elegantissima estetica.

martedì 18 marzo 2025

"Un amore" di Dino Buzzati



Antonio Dorigo, mediocre borghese corrotto e vizioso, è il protagonista del romanzo "Un amore" di Dino Buzzati.

Un testo che si presenta provocatorio fin dal titolo visto che, nell'opera, di puramente romantico non si ravvisa assolutamente nulla.
Un sentimento è presente, prepotente, ma non è l'amore: bensì l'ossessione che un uomo solo e dedito unicamente a sé stesso matura nei confronti di una spregiudicata prostituta minorenne.
La realizzazione dell'infatuazione, della malattia terribile dell'innamoramento, quello senza scampo, quello divorante, dilaniante, terribile, tormenta Dorigo come una maledizione.
L'innamoramento è una fiamma per lui sconosciuta e confusa, minacciosa, un vortice che assorbe tutto, riducendo ogni aspetto della sua esistenza a puro sfondo.
L'unica figura a colori è lei, Laide, la giovanissima prostituta: per via della differenza di età e di ceto sociale, Dorigo la vede inarrivabile, irraggiungibile. Eppure, non riesce comunque a distaccarsi da quella fanciulla maliziosa e piena di vita, aggrappandosi ai pochi momenti che, a pagamento, lei gli concede.
Per la prima volta nella sua vita, non desidera possedere carnalmente una donna: vorrebbe entrare nel suo mondo, essere un personaggio e non solo un comprimario nel libro della sua vita, e pur di illudersi di avere un ruolo nelle sue giornate accetta le richieste più assurde e più meschine di lei.
Dorigo, che da carnefice, perfetto consumatore della prostituzione, diventa vittima dei capricci di una ragazzina dedita solo al denaro, non è meno volgare di lei, figura ugualmente negativa, ma vittima di un sistema che non ostacola e anzi favorisce lo sfruttamento.
In uno scambio costante di ruoli che li vede entrambi predatori e prede di un mondo consumistico e vuoto, privo di valori, Dino Buzzati dipinge con la sua prosa ipotattica sempre ricca e suggestiva l'affresco di un'umanità patetica e marcia ma che continua ad essere ingannata dalle illusioni meravigliose dell'amore, lusinghe capaci di condurre un uomo o una donna apparentemente sapienti e di animo saldo al ridicolo, all'umiliazione, alla vergogna, alle lacrime.

Però, appunto, infine queste amorose lusinghe si rivelano per quel che sono: le illusioni fragilissime di un istante, che poi rigettano l'uomo nell'abisso del suo niente, un abisso che- dopo la luce che egli aveva creduto di vedere- appare ancora più vuoto, ancora più buio.

Come ne "Il deserto dei Tartari" anche in "Un amore" il sentimento a cui allude il titolo è oggetto dell'attesa spasmodica e dolorosa dei personaggi, e dunque dell'umanità intera. Ma, proprio come il fantomatico esercito dei Tartari, neppure l'amore giungerà mai, con la sua salvifica potenza, a portare felicità nelle misere esistenze terrene.

E dunque, che conclusione trarre da questo romanzo che descrive con precisione chirurgica il ridicolo morbo dell'amore, che non risparmia nessuno e che è capace di condurre alla follia, di indurre alla rovina?
Se ne deduce che - secondo la condivisibile opinione dell'autore - il mondo non è che una burla priva di senso. Solo la natura, con la sua impassibile calma, con la sua pace, con la sua immobilità, è depositaria della verità: lontana dalle passioni umane, serena, benedetta dalla stasi, fuori dal tempo. 

martedì 4 marzo 2025

"La ragazza con l'orecchino di perla" di Tracy Chevalier


Il piccolo dipinto che vedete in foto, realizzato dalla mia amica Maria Teresa, mi ha convinta a leggere "La ragazza con l'orecchino di perla" di Tracy Chevalier, un romanzo storico che intreccia arte, fantasia e introspezione psicologica.

Ambientato nell'Olanda del Seicento, il libro immagina la vita della giovane Griet, ragazza che diventa la modella per uno dei dipinti più celebri di Johannes Vermeer. La narrazione, ricca di dettagli sull'arte e sulle dinamiche sociali del tempo, esplora temi come crescita personale e disuguaglianze sociali, con un'intensa attenzione ai piccoli dettagli che definiscono la vita quotidiana e il mondo artistico. 

La protagonista è una figura complessa, e la sua relazione con Vermeer è delicata e sfumata: il romanzo riesce a rendere vibrante la tensione tra lei e l’artista. 

La forza della Chevalier sta nel creare un mondo evocativo in cui ogni elemento – dal quadro stesso agli ambienti, ai personaggi – diventa un pezzo importante di una storia di scoperta e di trasformazione. Pur essendo una fiction storica, il libro sa toccare corde emotive profonde, suscitando riflessioni sul ruolo dell'artista e sulla potenza della bellezza e del desiderio. 

mercoledì 26 febbraio 2025

"Il colibrì" di Sandro Veronesi


Ho letto "Il Colibrì" perché mi è stato consigliato da una persona nel cui giudizio ripongo grande fiducia: è stato il mio primo confronto con l'autore, di cui non avevo letto altri libri. 
Parlo di "confronto" e non di "approccio" perché, a lettura ultimata, mi sembra di essere reduce di una lunga battaglia, che mi ha lasciata spossata e ferita, e sento le mente attraversata da tanti pensieri, riflessioni ingarbugliate. 
Sto scrivendo nel tentativo di chiarire la confusione nella mia testa, di riallineare tutte le idee, di analizzarle meglio una per una. 

"Il colibrì" è un libro che incuriosisce subito per la sua copertina gialla, per l'originale uccellino da cui prende il titolo al testo, che un pò mi riportava alla mente "Il cardillo innamorato" della Ortese e "Il cardellino" di Donna Tartt. 
A lettura ultimata posso dire di non essere andata lontano con gli accostamenti, visto che anche qui si trova un'intensa storia umana, tragica e intensa, fortemente intrisa di metafora. E un pizzico di fantastico, nelle iperboli funzionali al racconto. 

Marco Carrera: padre esemplare, marito fedele, dedito oculista. 
Una vita apparentemente perfetta, in cui ogni elemento è ordinato e al suo posto. 
Ogni certezza viene però spazzata via dall'incontro con l'analista di sua moglie che, infrangendo la segretezza a cui la professione lo vincola, per tutelare la sua incolumità decide di parlare con lui e confessargli qualcosa di sconcertante che farà crollare la vita che si è costruito.
Ma la vita di Carrera, del resto, è sempre stata tutt'altro che perfetta. 
La storia segue le vicende del protagonista dalla sua nascita sino al giorno della sua morte, ripercorrendone l'infanzia, l'adolescenza, l'età adulta e la vecchiaia: una vita intrecciata di dolori e sofferenze, e qualche raro momento di fulgida bellezza. 
La scelta della narrazione è particolarmente interessante: un intreccio di presente, passato e futuro, con un narratore onnisciente che anticipa, preannuncia, commenta, pontifica. 
Il testo è difficile da leggere perché manca di linearità: zigzaga fra gli anni, tace diverse cose, che pure al lettore arrivano con forza; a volte offre risposte prima delle domande; certe domande restano aperte sin quasi alla fine. 

Filo conduttore del romanzo è la resilienza, che Marco Carrera potrebbe a buon diritto annoverare tra i suoi pregi: la capacità di sopravvivere nonostante le avversità, di raccontarsi la realtà a modo suo ma senza mai mentirsi o mentire, di vivere anche quando intorno a lui c'è la morte. 
Morte delle persone che lui ama, ma morte anche di un sogno, di un progetto, di un'idea di vita. 
Si parla molto d'amore: quello poetico che lo lega a Luisa, unica donna da lui amata, un amore che non potrà mai vivere se non per lettera e in brevi parentesi della vita di entrambi, a causa dello scorrere delle loro esistenze ad un ritmo diverso. L'amore impulsivo e giovanile che lo lega a Marina. Quello feroce che lo lega al gioco d'azzardo. Poi il sentimento tenero e assoluto che lo lega alla figlia e infine alla nipote. 

Un leitmotiv del libro è la psicoanalisi. Marco Carrera non ricorre mai all'aiuto di un analista, ma tutte le donne della sua vita vi hanno fatto ricorso: sua madre, Marina, Luisa, sua figlia, sua nipote.
Marco non crede nella psicoanalisi e non vi ricorre mai, eppure con lo psichiatra della sua prima moglie ha un dialogo continuo, costruttivo ed importante, che proseguirà fino alla vecchiaia, e che lo aiuterà in momenti delicati della sua vita. E tutto il testo è l'analisi approfondita di un personaggio multiforme e intessuto di colpa e tormenti.

Quel che mi porto dietro dalla lettura di questo libro è soprattutto la riflessione sugli sguardi: da oculista, Carrera attribuisce grande importanza agli occhi, agli sguardi, al vedere e di esser visti. Gli sguardi creano, gli sguardi disfano. Definiscono, disegnano, racchiudono, liberano. Anche gli occhi diventano strumento asservito alla metafora: vedere per vivere, perché non si può vivere con gli occhi chiusi. Altrimenti si cade in burroni profondissimi, dai quali difficilmente c'è possibilità di risalita e salvezza. 
Vedere quindi, per esistere. Dinanzi agli altri e dinanzi a sé stessi. 

Un libro particolare, quindi: complesso, sfaccettato, narrato in maniera contorta e come se il legame fra i capitoli fosse dettato dai ricordi che via via riemergono in questo racconto di vita piuttosto che dalla successione temporale degli eventi, con una prosa forbita e incredibilmente ipotattica, che spesso diventa flusso di coscienza e costringe il lettore a seguire quel fiume di parole ovunque l'autore intenda condurre le sue acque misteriose. 
Una storia di vita, dunque. Verosimile, quasi. 
Perché "Il colibrì" è prima di tutto una metafora, metafora del vivere e del morire, della gioia e del dolore. 
Metafora di quel "quasi" che difficilmente si riesce a toccare, a raggiungere: di un'esistenza vissuta nell'eroismo quotidiano, dove non si vincono medaglie, coppe o trofei, spesso non si conquista il grande amore, non si vive la vita che si desidera. Quella vita in cui raramente si vince. E, anche quando si vince, si scopre poi che quella specifica vittoria non valeva nulla. 
Spesso si pede. 
Ma comunque, con ogni mezzo possibile, si vive. 
Senza mai chiudere gli occhi. 


"Ti piace giocare a pallone? Giocaci. Ti piace camminare in riva al mare, mangiare la maionese, dipingerti le unghie, catturare le lucertole, cantare? Fallo. Questo non risolverà nemmeno uno dei tuoi problemi ma nemmeno li aggraverà, e nel frattempo il tuo corpo si sarà sottratto alla dittatura del dolore, che vorrebbe mortificarlo. [...] Non dico che le tornerà la voglia di vivere. Probabilmente non le tornerà. Ma starà comunque vivendo."



venerdì 14 febbraio 2025

Libri con storie d'amore age gap

Storie d'amore in cui i due protagonisti hanno una grande differenza d'età: perché piacciono così tanto? Forse a intrigare è il fascino di un sentimento complesso, che sfida le regole sociali, spesso proibito e sempre ostacolato dall'insormontabile dittatura del tempo. 

Oggi vi propongo una serie di libri che, a mio parere, trattano questo tema in maniera delicata.


1. JANE EYRE di Charlotte Brönte 

Conosciutissimo, ma sicuramente immancabile in una lista come questa: Jane Eyre, la giovane dal passato tragico che si innamora del padre della bambina a cui fa da istitutrice.
La scrittrice, innamorata di un suo insegnante, scrisse questo romanzo per dare compimento, nella finzione narrativa, al suo triste amore impossibile. 

2.ELOISA E ABELARDO- STORIA DI UN AMORE di Manuela Raffa

Una storia d'amore tra una giovane donna e il suo istitutore. La riscrittura in forma di romanzo racconta, con profonda introspezione, la vera storia di Abelardo ed Eloisa, vissuti nel 1100, i quali si lasciarono travolgere da una travagliata passione che condusse entrambi alla rovina. 


3. PAPER MAGICIAN di Charlie N. Holmeberg 

Sì, in questa lista c'è un fantasy! La giovane protagonista, Ceony, sta per diventare una Piegatrice, ossia una studiosa della magia della carta. Viene assegnata come apprendista ad un carismatico ed ombroso maestro, del quale si innamorerà... e a cui salverà la vita, creando per lui un cuore di carta. Ma tantissime avversità sono in agguato nel loro futuro: sapranno fronteggiare ogni difficoltà?
Una trilogia dolcissima e delicata, e -sì, faccio spoiler e non mi pento di nulla- con un finale felice.


4.UN AMORE di Dino Buzzati

Un cinquantenne ormai disilluso dalla vita si incapriccia di Laide, una giovane prostituta vent'enne. L'intero romanzo, ambientato in una Milano della seconda metà del 900, irride le convinzioni della società e sviscera le contraddizioni di un sentimento complesso che viene definito, arditamente, amore. Se questo sentimento si possa definire davvero tale, se sia un desiderio oppure ossessione, sarà il lettore a deciderlo.

5. UCCELLI DI ROVO di Colleen McCullough

Forse uno dei libri più belli che abbia mai letto.
Una saga familiare, un amore turbolento e controverso che percorre intatto gli anni e le tragedie della vita. 
Un libro tragico, drammatico, dilaniante che, all'epoca della pubblicazione, causò scandalo poiché narrava un legame proibito tra una giovane e un sacerdote.
Il testo, sebbene abbia una lunghezza considerevole, è molto scorrevole e si legge con piacere. 




6. LA SAGA DEL DOMINIO di Licia Troisi 

Myra e Acrab sono i protagonisti di questa saga fantasy che, al contrario della sopracitata Paper Magician, narra una storia tormentosa, crudele, che priva il lettore di un finale felice. Un finale risolutivo e positivo è infatti impossibile per due personaggi così corrotti e spezzati. Il loro amore, tuttavia, seppur contorto, sbagliato, assurdo, è il filo che regge l'intera narrazione ed è talmente intenso da far male. 


7.LA RAGAZZA CON L'ORECCHINO DI PERLA di Tracy Chevalier 

Il libro, mischiando invenzione e romanzo storico, immagina la vicenda dietro il problematico quadro di Vermeer, ipotizzando un'infatuazione -ricambiata- del pittore per una donna molto più giovane. 

giovedì 13 febbraio 2025

"Il cardellino" di Donna Tartt


Theo è un adolescente quando, accusato ingiustamente da un compagno di essere in possesso di un pacco di sigarette, viene rimproverato dalla preside, che convoca sua madre. Quel mattino, prima di recarsi a scuola per il colloquio con la dirigente, la donna propone al figlio una visita al museo, poiché l'arte è la sua grande passione e desidera distrarsi. Proprio quel giorno però accade una tragedia: una bomba esplode nel museo, e sua madre, che si era allontanata da lui per guardare una seconda volta "Lezione di anatomia", una delle sue opere preferite, rimane vittima dell'incidente.

Prima che Theo scappi dal museo un uomo anziano, in punto di morte, lo ferma e lo supplica di portare con sé in salvo un piccolo quadro: ritrae un uccellino, un cardellino. Theo prova un istintivo senso di tenerezza verso quel quadro, che ha guardato poco prima con sua madre -poco prima di perdere tutto- e gli ricorda uno degli ultimi momenti di pace prima che la sua vita andasse in frantumi.
Dando ascolto all'uomo porta dunque con sé il cardellino. Da quel momento non se ne separerà mai, custodendolo gelosamente, amandolo come se potesse sostituire il perduto amore di sua madre, donna che con la sua assenza domina l'intero romanzo.
In mancanza di suo padre, praticamente irreperibile da anni, Theo viene affidato alla famiglia di Andy, un suo compagno di classe.
La madre di Andy si affeziona particolarmente a Theo, tanto da decidere di adottarlo. Proprio quando prende questa importante decisione si presenta il padre del ragazzino. È uno dei momenti significativi del destino, uno snodo essenziale della sua storia: se fosse rimasto con la benestante famiglia dei Bourbon la sua vita sarebbe stata migliore, sicuramente più sana e serena.
L'intervento del padre invece lo induce a virare verso una direzione poco sana, una vita dove la droga, il fumo e l'alcool saranno la sua unica compagnia, alla cui iniziazione contribuirà non solo lo sbandato padre e la sua fidanzata, ma anche e soprattutto Boris. Di origini russe e anche lui proveniente da una disordinata situazione familiare, diventa quasi l'unica compagnia di Theo. Frequentano la stessa scuola, trascorrono insieme i pomeriggi e le notti, instaurando un rapporto ossessivo, ambiguo e tossico.
Boris, carismatico ed estroverso, esercita sul timido Theo un fascino pericoloso. Il ragazzo vuole fare una buona impressione su di lui perciò, ogni volta che l'amico gli propone una nuova trasgressione, non rifiuta mai, diventando rapidamente dipendente da sostanze sempre più pesanti.
Quando le vite li separeranno, lo incontrerà di nuovo da adulto, e si farà coinvolgere da lui nell'ennesima avventura.

Verso quale percorso virerà la vita di Theo? Verso la distruzione o la salvezza?

Il legame tra Boris e Theo è uno dei punti centrali del libro, un rapporto che resisterà agli anni e alla distanza, per poi essere recuperato intatto quando si ritroveranno, da adulti.
La loro amicizia conserva nell'età adulta la stessa ambiguità eppure è arricchita da un'intensità nuova. Boris, che da bambino aveva preso per mano Theo e lo aveva accompagnato nell'abisso, quando lo incontra da adulto invece lo aiuta a recuperare stabilità e sanità mentale, anche se a modo suo.
Un legame che nasce sbagliato, si evolve, muta.
"Perdonami per tutto il male che ti ho fatto" è la prima cosa che gli dice, quando lo incontra di nuovo.
Boris si è reso conto di non essere un personaggio vincente, ha semplicemente lottato per sopravvivere in un mondo ostile in cui la strada criminale era la sola che conoscesse.

Tutti i personaggi sono estremamente complessi e contraddittori. L'autrice stessa, in un'intervista, ha dichiarato che i suoi personaggi possono sembrare incoerenti perché "le persone fanno cose imprevedibili" ma, a suo giudizio, i comportamenti inaspettati rendono i personaggi più realistici.
In effetti, essendo arricchiti di sfaccettature, come in "Dio di illusioni", questi protagonisti si mostrano ingiudicabili e sfuggono ancora una volta ad ogni tentativo di definizione.

Lo stesso Theo, in un mondo pieno di mutevoli individui che si nascondo dietro rigide maschere, vede crollare ogni appoggio e trova il suo unico punto fermo nell'arte, dedicando la sua esistenza soprattutto alla protezione del piccolo dipinto, come se fosse l'unico frammento puro da conservare della sua infanzia.

Inevitabilmente, Theo non fa che tormentarsi e domandarsi chi sia, dopo aver perso tutto ciò che credeva di avere, sentendosi spesso in colpa per essere sopravvissuto al posto di sua madre, di cui gli sembra quasi di aver rubato la vita.
Per questa ragione si aggrappa ossessivamente al quadro del cardellino, unica immagine di pace nella sua mente travagliata. Inaspettamente, è proprio Boris ad aiutarlo e, seppur in modo contorto, gli salverà la vita in tanti modi.

Il romanzo induce il lettore ad interrogarsi sul fato, sulle diverse strade della vita e sulle sue imprevedibili coincidenze.
Esiste un destino inevitabile? In cosa consiste la nostra vita, se tutto è già stabilito?

Ancora una volta, con "Il cardellino", Donna Tartt avvince i lettori in una storia soffocante e claustrofobica, che strangola e annichilisce, rendendo la lettura un'esperienza catartica ed intensa, indimenticabilmente dolorosa.

martedì 11 febbraio 2025

"Odio e amo" la storia di Catullo


Dimmi che preferisci me a lui» mi lasciai sfuggire. Era una richiesta esagerata, lo sapevo, ma non potevo farne a meno. Per un attimo ebbi paura di aver osato troppo.
«Catullo, se io avessi potuto avere un marito come te…» mi rispose seria, sciogliendosi dall’abbraccio. «Se avessi potuto scegliere, avrei scelto te.»"

Daniele Coluzzi, già autore di un retelling del mito di Persefone, torna a lasciarsi ispirare dal mondo classico per una nuova opera, stavolta dedicata al celebre poeta latino Catullo, i cui versi d'amore e dolore hanno accompagnato generazioni di adolescenti nell'esperienza dei primi amori e dei primi dispiaceri. 

"Odio e Amo" è un libro che offre un viaggio affascinante nella vita di Catullo, restituendo al lettore non solo il poeta, ma l'uomo dietro i versi. Con un linguaggio scorrevole, l’autore intreccia storia e letteratura in un racconto vibrante, che cattura le passioni, le delusioni e i turbamenti interiori di uno dei più grandi lirici latini.

Un’opera che sa coinvolgere anche chi ha poca familiarità con la poesia antica, rendendo Catullo un personaggio sorprendentemente vicino e attuale, come sempre attuali sono le gioie e i dolori del cuore. 

martedì 4 febbraio 2025

Eloisa e Abelardo: storia di un amore

"Non immaginava l’amore, Eloisa. Non lo nominò, come se privandolo della parola, esautorandolo di significato, potesse debellarlo dalla propria carne, dalla mente, da se stessa. Lo ignorava, come con una malattia, che avviluppa il corpo, lo debilita, ma non si accetta per non ammettere di essere condannati."


"Storia di un amore" è una scrittura in chiave narrativa della storia d'amore più triste di tutti i tempi. Un libro introspettivo, doloroso, crudele. Intenso. 

Quella di Abelardo ed Eloisa- studentessa e maestro che intrecciarono una relazione passionale e proibita, nella Francia del 1100 circa - è stata spesso descritta come una storia d'amore intensa e bellissima, una delle più appassionanti di tutti i tempi. 

Forse anche la trasposizione cinematografica -"Stealing Heaven", che ci mostra i due protagonisti ancora innamorati in età avanzata - ha contribuito a rafforzare l'interpretazione romantica della vicenda.

Tuttavia, leggendo attentamente le lunghe lettere che i due amanti si scambiarono, la loro unione appare molto diversa da una storia di autentico amore.

Manuela Raffa offre dunque ai lettori un'analisi lucida della loro famosa storia.


Lui, brillante filosofo francese, scelto da Fulberto per educare la nipote adolescente Eloisa, si invaghì della ragazza e, consapevole fin da subito dell'ascendente che esercitava su di lei, la sedusse intenzionalmente, e senza difficoltà. 
Eloisa, erudita ma assolutamente inesperta del mondo essendo giovanissima, fu dunque manipolata da un uomo molto più vecchio di lei, che tutti credevano meraviglioso- che lei stessa reputava tale - rimanendo vittima del suo fascino, del suo abuso psicologico: una violenza inflitta sulla sua mente ingenua, sul suo corpo giovane, e infine al suo cuore vergine.

I rapporti a cui la induceva Abelardo erano talvolta persino violenti, e lui, per sua stessa ammissione, arrivava a percuoterla e a pretenderla anche quando lei non voleva. 
Abelardo dava alla sua passione irrefrenabile il nome di amore, e così ingannava Eloisa, che faceva ogni cosa per lui, ogni sacrificio, convinta di essere ricambiata, e sicura che lui l'avrebbe maggiormente amata quanto più lo avesse accontentato e soddisfatto in ogni suo desiderio, anche il più turpe.

Probabilmente  Eloisa, orfana che non aveva mai conosciuto alcun tipo di figura genitoriale, vedeva in Abelardo non solo un compagno, un amante, ma primariamente una figura adulta da compiacere e che, in cambio di quel compiacimento, le avrebbe fornito accudimento e tenerezza. 
Un accudimento che si rivelava saltuario, altalenante, insicuro. Fin quando lo zio di Eloisa, Fulberto, scoprendo la relazione segreta tra i due, scacciò l'illustre maestro da casa sua. Quando scoprì che la giovane era, prevedibilmente, rimasta incinta, gli ordinò di sposarla per riparare alla terribile offesa. 
Eloisa però non voleva sposarlo, perché sapeva che Abelardo lo avrebbe fatto solo per accontentare Fulberto e che in realtà non desiderava una moglie, che avrebbe danneggiato la sua immagine e posto potenzialmente un freno alla sua carriera. 
Se fosse stato costretto a sposarla, lui l'avrebbe odiata e lei lo avrebbe perso per sempre. Ad Eloisa non importava di essere considerata una svergognata, e non si sentiva colpevole di nulla: nella sua visione delle cose, semplicemente agiva per amore. 
Per capire la riflessione di Eloisa, bisogna pensare che era il 1100: l'epoca dell'amore cortese, che non prevedeva un sentimento autentico all'interno del vincolo coniugale. 
Abelardo, invece, che ragionava soltanto con il suo egoismo, voleva banalmente esercitare il proprio possesso sulla giovane. 
Dopo una rocambolesca serie di avvenimenti sempre più oscuri Fulberto, convinto che Abelardo avesse vigliaccamente abbandonato sua nipote, fece evirare Abelardo, esponendolo alla pubblica vergogna e sottraendogli per sempre la dignità e lo strumento con cui aveva offeso la sua Eloisa. 
Eloisa, pur affranta, era comunque innamorata e disposta a stare con lui anche in quella triste condizione. Ma fu Abelardo che a quel punto, ormai privo dei desideri carnali, abbandonò Eloisa. 
Non solo: gelosissimo all'idea che lei potesse essere stretta e amata da un altro uomo, le diede ordine di prendere i voti ed entrare in convento. Scelta che lei abbracciò non per vocazione, ma per farlo felice, ancora una volta. 
Dopo questo gesto, Abelardo rivide pochissime volte Eloisa, lasciandola sola senza mostrare alcun dispiacere e, come si evinceva dalle lettere, abbandonandola al dolore e alla solitudine. 
Se lui era stato mutilato nel corpo, la stessa cosa non era accaduta a Eloisa che, tormentata dal ricordo dei passati piaceri, soffriva molto nel sacrificare la sua gioventù abbracciando una vita consacrata che non desiderava.
L'unico suo desiderio era l'amore di Abelardo, che lui le nagava e che, addirittura, nelle lettere che di rado le scriveva, riduceva il suo sentimento ad un peccaminoso desiderio e nulla più, dichiarando palesemente di non averla mai davvero amata come compagna di vita. 

Ecco, infatti, alcuni passi tratti dalle lettere di Abelardo: 
"L'amore che ci trascinava al peccato, era attrazione fisica, non amore. Con te io soddisfavo le mie voglie, e questo era quello che amavo di te. Quella che tu chiami memoria d'amore non è altro che memoria del peccato. Ti prego, dimentica il passato, come ho fatto io.
Non ho mai cercato altro in te che il piacere. Se sono stato chiamato da tutti il primo dei filosofi, non è stato l'amore di Dio né il desiderio della virtù a condurmi a te, ma solo la passione dei sensi."

Impossibile non immaginare la fitta al cuore che deve aver provato Eloisa alla lettura di queste paroli atroci e crudeli, che la riducevano ad un oggetto: lei, che gli aveva offerto la sua anima, lei che con fiducia gli aveva permesso di metterle le mani nella testa, di spostare tutto, di comporre nuove forme e figure a suo piacimento. 

Abelardo quindi ha amato veramente Eloisa? L'ha amata, ma come un drago ama il suo oro, come un ricco ama il suo denaro. La amava, purché fosse la sua ombra, purché fosse seconda a lui, la amava finché aveva bisogno di lei per soddisfare il suo ego, il suo complesso di Pigmalione e soprattutto i suoi piaceri. 

Eloisa comprese tardi l'egoismo di Abelardo, rimanendo legata a lui per tutta la vita, in bilico tra amore, rancore e delusione. 
Abelardo illuse Eloisa offrendole da bere il più dolce dei veleni: la seducente speranza. E non finì bene. Per nessuno.

"[Eloisa] era spaventata. Come se si fosse avvicinata a un fuoco: traeva beneficio dal calore, che la inebriava, la scaldava, ma temeva di bruciarsi. Qual era la giusta distanza da tenere? La sua storia non era destinata a un futuro roseo. Pietro non era libero. La strada che aveva scelto per sé comportava la solitudine."

La lettura del libro, in un crescendo di orribili avvenimenti che fa avvertire al lettore il dolore della protagonista tanto intensamente come se fossi egli stesso a viverlo, induce una domanda: oggi questa storia ha qualcosa da insegnare? 
Sicuramente. Ogni vita può dare un insegnamento. 
E forse quello che lascia Eloisa è di fare attenzione al proprio cuore, alla propria anima. E di dare sempre priorità alla propria libertà. 

"Come mi confondevi, con i tuoi umori altalenanti, i tuoi momenti di tenerezza o di freddezza. Provavo a seguirti, a interpretarli, ma era impossibile. Sbagliavo sempre. Se mi allontanavo, non mi lasciavi andare. No. A quel punto, tornavo importante, bellissima, una tua priorità. Poi tutto ricominciava, nel logorio dei tuoi umori.
E io ho lasciato che tu mi distruggessi.
Ti ho amato, quanto ti ho amato. Con la forza della gioventù, dell’ammirazione, con ogni angolo della mia mente e del mio corpo. Eri un maestro brillante, le tue argomentazioni brecciarono il mio cuore come pietre scagliate da una catapulta. Erano innovative, brillanti, argute. Incontravano il mio gusto, che si adeguò al tuo e fiorì sul sentiero che avevi tracciato. Pensare, non fermarsi al senso letterale. Andare oltre l’insegnamento ricevuto in passato e calare ogni argomento nella realtà.
Hai inebriato il mio spirito, poi ti sei spinto fino al mio cuore.
Non volevo questa vita.
Mi hai piegata con gli argomenti dell’amore. E poi li hai accantonati, come se fossero inutili.
In fondo, lo erano, ormai."

Una storia, dunque, quanto mai attuale, attualissima, in quest'epoca tristemente dilaniata dal sangue di tante donne che, per accontentare gli umori di piccoli uomini come Abelardo, si annullano, si riducono, si annientano. Si lasciano distruggere. 

Voglio concludere questo articolo con il frammento di una delle lettere di Eloisa che - seppur sola, abbandonata - non si mostrò sconfitta, e con coraggio scrisse chiaramente quel che pensava, inchiodando Abelardo alle sue colpe e riconoscendosi - come avrebbe scritto diversi secoli dopo Emily Dickinson, che si accusava di "aver tenuto oggettini placcati sulla mensola dell'argenteria" - un'unica grande responsabilità: quella di essersi fidata di lui, di essersi accontentata di un ruolo marginale, di aver dato troppo, aver preteso troppo poco, aver accettato un amore senza parità. 
Una donna come lei, una mente come la sua, che avrebbe avuto ogni diritto di pretendere un amore che la rispettasse, che la accettasse in tutta la sua totalità, che l'aiutasse a crescere, che non volesse soffocarla. 

"Sarò costretta a dire io quello che penso, o meglio quello che ormai tutti sospettano: i sensi e non l’affetto ti hanno legato a me; la tua era attrazione fisica e non amore, e, quando il desiderio si è spento, con esso sono scomparse anche tutte le manifestazioni di affetto con cui cercavi di mascherare le tue vere intenzioni. [...]
Tu sei stato crudele nel trascurarmi, ma io sono stata più crudele con me stessa, perché mi sono abbandonata completamente a te. Ora l'amore è stato sconfitto dalla ragione, ma il mio cuore non può dimenticare ciò che ha sofferto per te."

Eloisa si lasciò soffocare da Abelardo. Oggi, tanti secoli dopo, memori di Eloisa, noi donne abbiamo il dovere morale di non ripetere il suo destino: perché il suo dolore non sia stato vano, perché nessuna donna conceda mai più ad alcun uomo un così grande potere sulla sua persona, sulla sua mente, sulla sua vita. 
Che possano essere messi all'angolo tutti gli "Abelardo" del mondo, mostruosi nel loro perbenismo e nelle loro autogiustificazioni: che nessuna donna permetta a nessuno, mai più, di trattarla come Abelardo ha trattato Eloisa.