mercoledì 14 luglio 2021

Rewiew Party: "Harrow la Nona"

“Harrow la Nona” (Harrow The Ninth) di Tamsyn Muir è il secondo capitolo della trilogia The Locked Tomb, il nuovo fenomeno del genere fantastico e sci-fi.


Dopo le prove ed i pericoli affrontati nella Casa di Canaan, Harrowhark Nonagesimus è finalmente diventata Littrice. L’Imperatore l’ha accolta nella schiera dei suoi Santi e, come da accordo, è pronto a far rivivere la Nona Casa con nuovi coloni e nuovi negromanti. Il Littorato, però, è tutt’altro che un traguardo: è l’inizio di una guerra impari, l’inizio di un’eternità in fuga.
Lo scotto da pagare per la Resurrezione compiuta diecimila anni prima dall’Imperatore è stata la nascita di nove Bestie Resurrezionali, mostri terribili e letali che dimorano nello spazio profondo e che inseguono l’Imperatore ed i suoi Littori ovunque si rechino, con l’istinto primordiale di annientarli. Per questo l’Imperatore vive come un esule, per questo Harrow non potrà più tornare alla propria Casa. Adesso anche lei è un bersaglio, costretta a rifugiarsi in un angolo remoto dello spazio per migliorarsi e poter prendere parte alla guerra che, pur nel corso di diecimila anni, non è riuscita a distruggere tutte le Bestie ed è costata la vita alla maggior parte dei Littori.

Il corpo di un Littore normale era in grado di badare a se stesso.
Ma ormai era chiaro a tutti: tu non eri un Littore normale.

La situazione di Harrow è estremamente delicata. La sua conoscenza della magia ossea è invidiabile, ma non è al livello di maestria richiesto ad una Santa, tutte le altre branche della magia corporea le sono sconosciute, e la spada che dovrebbe saper maneggiare la rifiuta con violenza. Harrow non può prenderla a mani nude senza indebolirsi, non può sollevarla senza essere sopraffatta dal vomito… e la sua stessa mente è un campo minato su cui non può fare totale affidamento, non con le allucinazioni che la accompagnano ormai da anni.

«Ho bisogno che tu nasconda la mia infermità» disse Harrowhark.
«Vedi, io sono pazza

Accanto a lei c’è Ianthe Tridentarius, la detestata rivale e sorella Littrice con la quale è costretta a convivere. Ianthe fa sfoggio della sua superiorità, la schernisce, la minaccia, ma allo stesso tempo ha stretto un accordo con Harrow per aiutarla e sembra essere più attratta da lei di quanto non voglia lasciar intendere.
Facciamo inoltre la conoscenza dei Santi dell’Imperatore i quali, per quanto controvoglia, ricoprono il ruolo di fratelli maggiori e insegnanti per Harrow e Ianthe; soprattutto, facciamo la conoscenza dell’Imperatore stesso: un uomo che si è fatto Dio, colui che ha compiuto la Resurrezione salvando la stella Dominicus e le Nove Case, colui che ha sconfitto la morte, colui che tutte le Case venerano ed onorano, ma che in particolar modo Harrow venera e ama. L’Imperatore rappresenta la sua salvezza ed assoluzione, l’attenzione e l’affetto di cui è assetata, il Maestro inarrivabile ed onnipotente, il padre amorevole e benigno che non ha mai avuto.
E poi c’è il mistero delle ventiquattro lettere indirizzate ad Harrow di cui ventidue in suo possesso e due nelle mani di Ianthe, da leggere solo in determinate e particolarissime circostanze. Lettere ambigue ed enigmatiche, scritte dalla stessa Harrow prima della sua iniziazione al Littorato ma di cui lei non ricorda nulla. Ed in tutto questo, l’assenza più ingombrante di tutte: quella di Gideon. Perché Harrow sembra non serbare alcun ricordo della sua esistenza?

«Nonagesimus, non verrà nessuno a salvarti. Non Dio. Non Augustine. Nessuno.» Ora nella sua voce non c’era traccia di scherno, ma c’era qualcos’altro: eccitazione, forse, o disagio. «Morirai nella prima mezz’ora. Hai un bersaglio appiccicato addosso. A meno che in quelle lettere non ci sia qualcosa che ignoro, sei a corto di assi nella manica.»

Harrow la Nona” è un libro strano, difficile da leggere e da definire. La narrazione alterna capitoli in terza persona e capitoli in seconda in cui la protagonista sembra parlare a se stessa. Questa alternanza disorienta il lettore che, già confuso dalla quantità di tasselli mancanti e di informazioni che vengono accumulate senza avere gli strumenti per comprenderle, può fare seriamente fatica a seguire la vicenda. A ciò si aggiunge una certa lentezza che esaspera la sensazione di confusione e di smarrimento e forse equipara il lettore alla protagonista, poiché si ha l’impressione di trovarsi prigionieri in una mente labirintica e schizofrenica e di vagare alla cieca senza punti di riferimento. Potremmo senza ombra di dubbio definire questo romanzo “psichedelico”.

Come in “Gideon”, tuttavia, la lentezza iniziale lascia gradualmente spazio ad un ritmo serrato e calzante quando si arriva nel vivo della storia e soprattutto sul finale, quando la successione di colpi di scena rapisce il lettore che si ritrova affamato di risposte ed incapace di smettere di leggere. In questo, Tamsyn Muir è maestra.

Altro tratto distintivo della sua scrittura è senza dubbio il sarcasmo e l’arguzia dei suoi personaggi, provetti in motteggi e schermaglie verbali che rappresentano una boccata d’aria fresca nell’atmosfera lugubre e tesa del romanzo, e non solo. Lo stile in questo romanzo, per echeggiare la personalità di Harrow di cui si adotta il punto di vista, si fa sempre più rarefatto e ardito; il contrasto fra la descrizioni quasi ampollose e pesanti e i dialoghi freschi, faceti e talvolta spiazzanti crea una dissonanza che potrebbe per molti risultare sorprendente e piacevole.

Il lato negativo di questa “firma d’autrice”, tuttavia, è che essa tende ad appiattire tutti i personaggi principali, tutti brillantemente arguti e dotati dello stesso senso dell’umorismo, ignorando quelle che possono essere le peculiarità caratteriali di ciascuno; ciò si nota ancor più negli antagonisti che sembrano effettivamente rispondere ad uno stereotipo. Non c’è dubbio che il personaggio frizzante, un po’ teatrale e sarcastico sia quello che Tamsyn Muir preferisca e sappia scrivere meglio, ma viene quasi da chiedersi se non sia l’unico che sappia scrivere.

L’altro difetto che non si può ignorare sono le inconsistenze nell’ambientazione del romanzo. Quest’ultima è già di suo poco definita e confusa: si capisce che la vicenda è ambientata nel nostro sistema solare in un lontano futuro post-apocalittico, tuttavia i riferimenti culturali sono quelli a noi contemporanei. Viene per esempio citata Bring me to life degli Evanescence, oppure Lose yourself di Eminem, o ancora un esempio lampante è il seguente dialogo:

«[…] Non voglio darti un ultimatum il primo giorno che passiamo insieme. Parleremo più tardi di te e di me. Non posso recuperare tutti gli anni in cui non ci sono stato, tutte le patatine fritte calde che non ti ho potuto comprare e le recite scolastiche a cui non sono venuto, […]».

Questo è sicuramente un ottimo modo per rendere tutto più scorrevole e godibile – a chi non piace qualche battuta presa dalla cultura pop, del resto – ma tradisce il mondo narrativo creato. Già in “Gideon” c’erano problemi di questo tipo, ma se lì ancora si poteva dare il beneficio del dubbio, qui l’errore risulta troppo grossolano e marchiano perché la sospensione dell’incredulità possa reggere.

Ciò che è notevole, tuttavia, è che pur con questi difetti “Harrow” non può fare a meno di catturare chi legge, di creare quella febbrile voglia di voltare pagina dopo pagina per scoprire come andrà a finire… e anche per assistere all’evoluzione del rapporto fra Gideon e Harrow.

In questo secondo volume, per forza di cose, la presenza di Gideon è molto marginale e le interazioni con Harrow ancora di più, tuttavia la Muir trova il modo di farci capire quanto intensamente siano cresciuti i sentimenti delle protagoniste pur lontano dai nostri occhi. Gideon sembra nutrire un bruciante desiderio di protezione nei confronti della sua Littrice, e forse anche altrettanta possessività, mentre Harrow è giunta ad una soluzione estrema pur di preservare l’anima della sua paladina e avere una possibilità di riabbracciarla in futuro. Forse non sono innamorate, non ancora, ma il legame che le unisce è ben più profondo e intenso di qualunque altro e nulla può competere con esso. 

Gideon e Harrow danzano in equilibrio sulla linea sottile che separa la devozione e la fedeltà dall’amore, in attesa di una spinta decisiva.

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